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DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

ROGER WATERS: “Is this the life we really want” (Columbia)

Cinquantacinque minuti di musica suddivisa in 12 episodi, per un opera in perfetto stile Pink Floyd. Così il sopravvissuto più carismatico di una delle rock band più famose e celebrate della storia ha deciso di riaffacciarsi sulle scene. “E’ questa la vita che vogliamo veramente?” si chiede lo stagionato artista britannico. Un titolo emblematico che […]
5 Giugno 2017

Cinquantacinque minuti di musica suddivisa in 12 episodi, per un opera in perfetto stile Pink Floyd. Così il sopravvissuto più carismatico di una delle rock band più famose e celebrate della storia ha deciso di riaffacciarsi sulle scene.

“E’ questa la vita che vogliamo veramente?” si chiede lo stagionato artista britannico. Un titolo emblematico che suggella una delle domande che molti uomini del Terzo Millennio si portano in cuore. E con essa i timori di scenari ed epiloghi apocalittici, e le bramosie, insieme balsamiche e disperate, dell’amore.

Erano 25 anni che Waters non confezionava un disco di canzoni, e questo suo ritorno sulle scene sembra possedere il piglio degli album importanti, incluso l’inevitabile aleggiare delle atmosfere che hanno reso leggendario il rosa più famoso del rock psichedelico e che richiamano i grandi best-seller della storica band albionica, da “Wish you were here” a “The Wall”, fino ad ad “Animals”.

Canzoni suadenti – molte in forma di rock-ballad enfatica - intervallate qua e là da qualche rumorismo, ben prodotte da quel vecchio marpione di Nigel Goldrich dove spesso irrompono le inquietudini del presente, da Guantanamo a Trump fino agli effetti delle grandi migrazioni di massa. Waters qui s’espone in tutta la sua geniale fragilità e propone come unico antidoto alle nevrosi e alle brutalità di questo presente apocalittico, l’amore: unica forza in grado di scampare il mondo dalle catastrofi incombenti.

Di fatto un concept-album intasato di tragedie e disastri etici: l’avidità dei potenti e dei guerrafondai,  e dall’altra le miserie e le tragedie dei semplici e della povera gente. Un approccio molto manicheo e semplicista se si vuole, ma in molti episodi davvero suggestivo. Nel complesso un ritorno più che degno per uno dei miti più longevi dell’epopea rockettara.

(Franz Coriasco)