UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

A Milano direttori a confronto. L'Arcivescovo: un patto per l'uomo

Al Circolo della stampa l’incontro del Card. Tettamanzi con De Bortoli, Mauro e Tarquinio: la realtà della Chiesa va ben oltre ciò che della Chiesa fa notizia. È necessario far crescere i buoni professionisti di domani
25 Gennaio 2010
È così da duemila anni. La Chiesa “fa notizia” perché «è essa stessa notizia » : l’an­nuncio della Resurrezione. E «quando un sacerdote, una suora o un vescovo prendono la parola lo fanno avendo come criterio di ve­rità e unico metro di giudizio il Van­gelo ». Il giornalismo ci fa i conti tut­ti i giorni, con questa «verità». Che sia «notiziabile» o meno. Il cardi­nale Dionigi Tettamanzi ha dialo­gato ieri a Milano, nella festa pa­tronale degli operatori dell’infor­mazione, con i direttori di Corrie­re della Sera, Repubblica e Avveni­re, Ferruccio De Bortoli, Ezio Mau­ro e Marco Tarquinio. Un faccia a faccia «costruttivo» per arrivare in­sieme alla conclusione della ne­cessità di un «patto comunicativo – come l’ha chiamato Tettamanzi – tra Chiesa e media, in cui la preoc­cupazione comune sia l’uomo e il rispetto per la persona umana».
  Quando la Chiesa è «notiziabile», oggi, in Italia? E quando viene “messa in pagina”, è sempre «una, santa, cattolica?». Quanto è «stru­mentalizzata » o «banalizzata»? Co­me si comporta chi racconta la Chiesa «per missione»? Sono que­ste le domande che cercavano una risposta, in un Circolo della Stam­pa affollato di professionisti del­l’informazione di ogni età. « L’af­fermazione della laicità e d’altra parte il racconto dell’identità cat­tolica italiana» sono tra i compiti dei cronisti di oggi, e se per il di­rettore del Corriere della sera l’informazione «deve attenzione ri­spetto » a una Chiesa « custode di valori» oggi sempre più chiamata a «una supplenza d’identità, e a vol­te anche a una supplenza di tipo civile » , duro è stato il j’accuse di Mauro: «deboli» e «incerte» le en­tità in dialogo con la Chiesa; chi in politica cavalca la Chiesa «guarda più al comando che ai Comanda­menti »; la Chiesa vista dai partiti come «un protettorato di valori» e in ultima analisi come «una riser­va di voti»; mentre «non esiste – per il direttore di Repubblica – una ri­serva di valori isolata al libero gio­co democratico. Non esiste una “obbligazione” religiosa a fonda­mento delle leggi di una Repubbli­ca ». Sul tavolo, ovviamente, bioeti­ca, immigrazione, laicità dello Sta­to.
  «Il rischio – per il direttore di Avve­nire – è che si pensi che la Chiesa parli prioritariamente alla politica, ignorando la società». Troppo spes­so sui giornali «sembra che il Papa si rivolga solo a un migliaio di par­lamentari italiani. O che i vescovi, in città piene di complessità, siano concentrati su un sindaco e qual­che consigliere comunale». La «vul­gata » contro cui ha puntato il dito Marco Tarquinio è quella dei «no» della Chiesa. «E nel comunicare la Chiesa, il compito che ci siamo po­sti è partire dai tanti “sì”». Quelle te­stimonianze a volte magari «poco notiziabili » . Quella realtà « inde­scrivibile dai giornali» fatta di par­rocchie, oratori, associazioni, mo­vimenti... Come i ragazzi della par­rocchia, a Rosarno, in piedi all’al­ba per andare a portare da man­giare agli immigrati. Sfuggiti per anni alle “cronache”. Eppure e­sempio di quella «gente normale» che una Chiesa – pure attenta agli ultimi – non dimentica mai, per­ché «ci sta in mezzo».
  La «superficialità dei mass media, in alcuni casi, è un dato di fatto» ha confermato Tettaman­zi. Su «immigrazione e accoglienza, ma anche su altri temi». E una co­municazione affrettata «galleggia, anziché en­trare in profondità nel mare dei problemi».
  Etica, bioetica, politica, immigrazione. Ma « la realtà della Chiesa va ben oltre ciò che della Chiesa fa notizia», per il cardinale. Forse a volte «si è mos­sa come un partito – ha annotato De Bortoli – ma non si può tacere quello che fa sul piano del contri­buto sociale e dell’ assistenza». Ma­gari è un problema di «linguaggio», come ha analizzato all’inizio del­l’incontro Chiara Giaccardi, socio­loga e antropologa dell’Università Cattolica che per prima ha evoca­to, ieri, l’idea di un «patto» di chia­rezza e verità tra Chiesa media. Ma­gari può essere utile un “dizionario di ecclesialese-italiano” come il vo­lumetto presentato ieri dalla dio­cesi di Milano (“Mitra al cardinale”, edizioni Centro Ambrosiano, 64 pagine, 6 euro). Magari, come ha aggiunto la docente, il problema è che il Vangelo è di per se « para­dosso ». Ma il «coraggio di dire co­se scomode» è insito nel cristiano. E la Chiesa «ha fatto per venti se­coli i conti con la modernità», ha sottolineato Tarquinio. E quando la Chiesa comunica «lo fa per de­clinare nell’oggi la parola di spe­ranza del Vangelo – per Tettaman­zi –. Non è quindi pertinente quan­tificare il successo di questa co­municazione, oppure misurarne il consenso suscitato».
  Tanti giornalisti cattolici, ha ricor­dato infine l’arcivescovo, sono ri­conosciuti come «maestri» anche da chi non crede. Come lo storico direttore di Famiglia Cristiana re­centemente scomparso, don Leo­nardo Zega. Per comunicare “be­ne” la Chiesa – ha concluso Tetta­manzi –, devono crescere i buoni professionisti di domani » ( e un «ruolo importante» ha l’Università Cattolica): chi è chiamato a comu­nicare la Chiesa deve sapere cosa la Chiesa sia realmente.
 

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