È così da duemila anni. La Chiesa “fa notizia” perché «è essa stessa notizia » : l’annuncio della Resurrezione. E «quando un sacerdote, una suora o un vescovo prendono la parola lo fanno avendo come criterio di verità e unico metro di giudizio il Vangelo ». Il giornalismo ci fa i conti tutti i giorni, con questa «verità». Che sia «notiziabile» o meno. Il cardinale Dionigi Tettamanzi ha dialogato ieri a Milano, nella festa patronale degli operatori dell’informazione, con i direttori di Corriere della Sera, Repubblica e Avvenire, Ferruccio De Bortoli, Ezio Mauro e Marco Tarquinio. Un faccia a faccia «costruttivo» per arrivare insieme alla conclusione della necessità di un «patto comunicativo – come l’ha chiamato Tettamanzi – tra Chiesa e media, in cui la preoccupazione comune sia l’uomo e il rispetto per la persona umana».
Quando la Chiesa è «notiziabile», oggi, in Italia? E quando viene “messa in pagina”, è sempre «una, santa, cattolica?». Quanto è «strumentalizzata » o «banalizzata»? Come si comporta chi racconta la Chiesa «per missione»? Sono queste le domande che cercavano una risposta, in un Circolo della Stampa affollato di professionisti dell’informazione di ogni età. « L’affermazione della laicità e d’altra parte il racconto dell’identità cattolica italiana» sono tra i compiti dei cronisti di oggi, e se per il direttore del Corriere della sera l’informazione «deve attenzione rispetto » a una Chiesa « custode di valori» oggi sempre più chiamata a «una supplenza d’identità, e a volte anche a una supplenza di tipo civile » , duro è stato il j’accuse di Mauro: «deboli» e «incerte» le entità in dialogo con la Chiesa; chi in politica cavalca la Chiesa «guarda più al comando che ai Comandamenti »; la Chiesa vista dai partiti come «un protettorato di valori» e in ultima analisi come «una riserva di voti»; mentre «non esiste – per il direttore di Repubblica – una riserva di valori isolata al libero gioco democratico. Non esiste una “obbligazione” religiosa a fondamento delle leggi di una Repubblica ». Sul tavolo, ovviamente, bioetica, immigrazione, laicità dello Stato.
«Il rischio – per il direttore di Avvenire – è che si pensi che la Chiesa parli prioritariamente alla politica, ignorando la società». Troppo spesso sui giornali «sembra che il Papa si rivolga solo a un migliaio di parlamentari italiani. O che i vescovi, in città piene di complessità, siano concentrati su un sindaco e qualche consigliere comunale». La «vulgata » contro cui ha puntato il dito Marco Tarquinio è quella dei «no» della Chiesa. «E nel comunicare la Chiesa, il compito che ci siamo posti è partire dai tanti “sì”». Quelle testimonianze a volte magari «poco notiziabili » . Quella realtà « indescrivibile dai giornali» fatta di parrocchie, oratori, associazioni, movimenti... Come i ragazzi della parrocchia, a Rosarno, in piedi all’alba per andare a portare da mangiare agli immigrati. Sfuggiti per anni alle “cronache”. Eppure esempio di quella «gente normale» che una Chiesa – pure attenta agli ultimi – non dimentica mai, perché «ci sta in mezzo».
La «superficialità dei mass media, in alcuni casi, è un dato di fatto» ha confermato Tettamanzi. Su «immigrazione e accoglienza, ma anche su altri temi». E una comunicazione affrettata «galleggia, anziché entrare in profondità nel mare dei problemi».
Etica, bioetica, politica, immigrazione. Ma « la realtà della Chiesa va ben oltre ciò che della Chiesa fa notizia», per il cardinale. Forse a volte «si è mossa come un partito – ha annotato De Bortoli – ma non si può tacere quello che fa sul piano del contributo sociale e dell’ assistenza». Magari è un problema di «linguaggio», come ha analizzato all’inizio dell’incontro Chiara Giaccardi, sociologa e antropologa dell’Università Cattolica che per prima ha evocato, ieri, l’idea di un «patto» di chiarezza e verità tra Chiesa media. Magari può essere utile un “dizionario di ecclesialese-italiano” come il volumetto presentato ieri dalla diocesi di Milano (“Mitra al cardinale”, edizioni Centro Ambrosiano, 64 pagine, 6 euro). Magari, come ha aggiunto la docente, il problema è che il Vangelo è di per se « paradosso ». Ma il «coraggio di dire cose scomode» è insito nel cristiano. E la Chiesa «ha fatto per venti secoli i conti con la modernità», ha sottolineato Tarquinio. E quando la Chiesa comunica «lo fa per declinare nell’oggi la parola di speranza del Vangelo – per Tettamanzi –. Non è quindi pertinente quantificare il successo di questa comunicazione, oppure misurarne il consenso suscitato».
Tanti giornalisti cattolici, ha ricordato infine l’arcivescovo, sono riconosciuti come «maestri» anche da chi non crede. Come lo storico direttore di Famiglia Cristiana recentemente scomparso, don Leonardo Zega. Per comunicare “bene” la Chiesa – ha concluso Tettamanzi –, devono crescere i buoni professionisti di domani » ( e un «ruolo importante» ha l’Università Cattolica): chi è chiamato a comunicare la Chiesa deve sapere cosa la Chiesa sia realmente.