Su come preparare un’omelia si è soffermato il Papa nell’Evangelii Gaudium , poiché, ha scritto, «molti sono i reclami in relazione a questo importante ministero e non possiamo chiudere le orecchie». Una frase che suona come una parafrasi di una battuta diffusa sulle 'prediche' lunghe, noiose o malriuscite: oggi il vero sacrificio della Messa è l’omelia… Ma già prima del richiamo pontificio, a partire dall’Anno della fede e dal Sinodo dei vescovi sulla nuova evangelizzazione, l’Ufficio liturgico nazionale, in collaborazione con quello Catechistico e quello per le Comunicazioni sociali, aveva pensato di avviare 'ProgettOmelia', itinerario di formazione rivolto ai sacerdoti e ai seminaristi per migliorarne l’arte omiletica. È partito a gennaio in alcune diocesi pilota - Vicenza, Cagliari, Taranto, Torino, Siracusa - con l’idea, una volta testato, di estenderlo a tutte le diocesi italiane. A coordinarlo, insieme a Simona Borello, è don Paolo Tomatis, docente di liturgia alla Facoltà teologica di Torino e direttore dell’Ufficio liturgico dell’arcidiocesi subalpina. «L’idea di questo corso è nata dalla consapevolezza crescente della complessità del genere omiletico – spiega don Tomatis –, un’omelia deve essere capace di comunicare con un linguaggio non verbale, deve essere attenta alla Parola, al contesto liturgico, al popolo, con parole che fanno ardere il cuore come dice il Papa… È stato fatto un seminario di riflessione dalla Cei sul tema, dove si è verificato che nei corsi dei Seminari si fa troppo poco, troppo tardi e troppo in fretta». Don Tomatis ricorda che la Chiesa ha già compiuto un passaggio cruciale, ovvero «con il Concilio ha recuperato l’omelia come parte della liturgia, mentre nella logica del sermone di una volta questo poteva essere parallelo alla liturgia». Il problema è che nonostante questo input la Chiesa sconta un sensibile ritardo nella comunicazione dall’ambone rispetto al mondo, che nel frattempo ha camminato in fretta. «Infatti una delle sfide è come fare tesoro di alcune delle intuizioni del public speeching, del parlare in pubblico, proprie della comunicazione più orientata al marketing – commenta don Tomatis – senza assumerne l’idea di fondo, cioè ricercare un’efficacia da venditori d’asta… intuizioni che vanno nella direzione di una certa semplificazione. Quando papa Francesco dice: un’idea, un’immagine e un sentimento è entrato in questa visione».
Ci si può chiedere se sia mai stata quantificata la lunghezza ideale di un’omelia. La risposta è che non è possibile. «Le situazioni non si possono uniformare – continua don Tomatis – già fra nord e sud Italia c’è differenza.
Sicuramente un’omelia mal fatta annoia fin dal primo minuto, mentre se si è preparati e attenti, anche in un tempo molto limitato si può essere efficaci». Un altro problema frequente, nonostante le indicazioni del Concilio, è il divagare sfruttando poco l’omelia come momento di catechesi. «La Parola di Dio deve restare il riferimento – dice sempre don Tomatis – da qui si può approfondire un tema piuttosto che un altro. La congregazione per il Clero e quella per il Culto divino e la disciplina dei sacramenti sono alle prese con un direttorio omiletico, che senza forzare la mano vuole sottolineare l’importanza di far passare i contenuti della dottrina cattolica nell’arco del tempo liturgico. Il compito dell’omelia è di essere da una parte aderente alla Parola e al contesto della liturgia, quindi in un contesto orante non di spettacolo, dall’altra parte di offrire un approfondimento del Mistero orientato alla vita. Le attenzioni da avere sono molte. E lo prova il fatto che anche i migliori predicatori non sono sempre soddisfatti delle proprie omelia».