UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

A Sua immagine: arriva don Rigoldi

Primo passaggio di testimone, dal 14 febbraio, tra i quattro preti scelti quest'anno da "A Sua immagine" per il commento del Vangelo della domenica. Don Ciotti passerà il testimone a don Gino Rigoldi. In anteprima dal prossimo numero della rivista "A Sua immagine", Stefania Careddu ci accompagna a conoscere questo prete coraggioso.  
9 Febbraio 2015
La luce oltre le ombre (e le sbarre)

di Stefania Careddu

L’abitudine a cercare la luce dietro le ombre l’ha imparata respirando l’aria del quartiere popolare di Crescenzago, alla periferia di Milano, dove la mamma gli ha insegnato a scorgere sempre il bene e il positivo in ciascuno, al di là delle sue debolezze e delle sue miserie. Ed è quest’attitudine, insieme a quella che antepone il comprendere al giudicare, che da quasi 50 anni guida i passi di don Gino Rigoldi sui sentieri di quelli che molti definiscono “gli scarti”: i carcerati, gli emarginati, i tossicodipendenti.   

Un Vangelo incarnato
Nato nel 1939, a soli 13 anni inizia a lavorare: gli strascichi della guerra e la scarsa mobilità sociale lasciano poco spazio ai sogni e così, come molti altri ragazzi della sua età, il giovanissimo Gino indossa la tuta da operaio metalmeccanico, trasformandosi di fatto nell’ingranaggio di una catena di montaggio. Ripetitiva, monotona, troppo per essere sopportata da lui. Entra in una ditta chimica come fattorino. Ci resta due anni, poi – mentre la sera studia per diventare ragioniere – viene assunto come impiegato in un’altra azienda. Intanto in oratorio c’è don Tommaso, un prete capace di stare con i ragazzi e di fare comunità, sempre, nonostante tutto, che un giorno lo invita ad andare a visitare il seminario.
Per Gino, abituato al grigio delle “case di ringhiera” ma anche all’entusiasmo dei giochi da bambini in cortile, il lusso, la formalità e la rigidità di quell’ambiente lo fanno propendere per un secco rifiuto: “Io qui non ci vengo neppure morto”. Eppure, per un misterioso disegno, ci va e prova a diventare prete. Non è facile. È troppo critico, poco all’interno degli schemi  e così il rettore del seminario decide di non farlo ordinare sacerdote insieme ai suoi compagni e lo destina invece al Collegio De Filippi di Varese, chic e ben frequentato. Gino, che da sempre si chiede cosa direbbe e come agirebbe Gesù nella stessa situazione, trasforma alcune stanze del Collegio in un dormitorio clandestino per le tante persone, spesso provenienti dal Sud Italia, che non hanno un tetto e dormono nella zona della stazione. È uno dei suoi modi per dare vita alle pagine di Vangelo, per incarnarlo nelle pieghe della storia e dell’umanità che incontra. Perché, come ama ripetere, Gesù lo si riconosce nel volto dei deboli, ma anche di tutti quelli che hai davanti ogni giorno.

L’amore è testardo
Controcorrente rispetto al modo comune di pensare e di essere comunità, don Gino – già in linea con quel modello di Chiesa ‘in uscita’ proposto da Papa Francesco – appena ordinato sacerdote comincia ad andare a cercare le persone, ad incontrarle lì dove si trovano. Vuole conoscerle, parlare con loro. Sono i primi anni 70 e sono tanti gli “alternativi”, i ragazzi sbandati e quelli ai margini che popolano la periferia milanese. In breve tempo, trasforma l’oratorio della parrocchia di San Donato Milanese dove viene assegnato come viceparroco in una sorta di centro sociale con serate che arrivano a contare 400 giovani. È il luogo del dialogo, dove costruire relazioni. Non mancano le tensioni con il parroco, che vorrebbe un vicario più tradizionale, più attento alla catechesi e alla liturgia. Quando si presenta l’occasione di diventare cappellano del Beccaria, un istituto penale minorile, don Gino non se la lascia scappare.
E comincia così un’avventura che dura da 43 anni. A guidarlo nella sua missione con i giovani detenuti è una regola, che si dà sin dai primissimi giorni: “il giudizio spetta a Dio, i giudici hanno il compito di decretare la pena, a me tocca comprendere e trovare il modo per ricominciare”. Comprendere, non giudicare. Consapevole del fatto che non è facile, che non sempre si riesce ad ottenere quello che si vorrebbe, che le sconfitte sono altamente probabili. Ma anche con la forza di chi sa di essere strumento, di chi ogni giorno cerca di trovare il positivo, il buono, il bello in mezzo alla solitudine, alla rabbia, alla polvere di una giovanissima vita che sembrerebbe già essere andata in frantumi. Perchè “l’amore deve essere testardo”.

Ricominciare, insieme
“Tu dici belle cose, ma quando esco torno a rubare”, gli dice a bruciapelo uno dei ragazzi. “E adesso dove vado?”, lo incalza un altro. Don Gino intuisce che la presenza all’interno del carcere non è sufficiente, che quel “prendersi cura” deve andare oltre le sbarre, deve farsi accompagnamento. Apre le porte del suo alloggio, ne ospita uno, due, poi tre. Nasce l’idea di creare una casa di accoglienza per ex detenuti, una struttura per sostenerli nel reinserimento sociale. In una parola, per ricominciare. Parte, con un gruppetto di amici volontari, l’esperienza di “Comunità Nuova”, una risposta concreta al dilagare della droga e delle devianze giovanili. Sempre con quel desiderio di andare incontro alle persone e ai loro bisogni, don Gino fa sbocciare sul territorio – non senza difficoltà – luoghi di aggregazione giovanili: a Baggio, “La locanda”, un locale autogestito, e qualche anno dopo alla Barona, vicino ai Navigli, “il Barrio’s”, che non è solo un bar-birreria, ma un centro polifunzionale con auditorium, aule multimediali, studio e riunioni, sale prove per realizzare attività culturali e musicali, educative e di integrazione sociale.

Costruttore di spearanza
“Ci vuole cuore”, è uno degli slogan di don Gino. La sua giornata inizia molto presto, alle 6: dialoga con Gesù, poi organizza, progetta, incontra persone, viaggia, tiene conferenze. Di pomeriggio va dai suoi ragazzi in carcere, ci parla, li ascolta, sogna con loro, li aiuta a risolvere i problemi. La sera torna a casa, nella Cascina S. Alberto, da altri ragazzi, tutti ex detenuti. “Il mio lavoro è costruire speranza”, spiega senza giri di parole. Da sabato 14 febbraio avrà un appuntamento in più in agenda: con i telespettatori di RaiUno che potranno ascoltare, all’interno della trasmissione “A Sua Immagine”, i suoi commenti al Vangelo. Che non possono che partire dal vissuto delle sue periferie.
 
 
 
 
PER SAPERNE DI PIU'...
Una rete d’amore

Da 40 anni “Comunità Nuova” lavora per combattere il disagio giovanile, le dipendenze, e per sostenere ex detenuti, immigrati, rom, persone che si trovano in situazioni di povertà e di emarginazione sociale. Sono diverse le iniziative in Italia e oggi anche in Romania: luoghi di aggregazione giovanile, doposcuola e contrasto alla dispersione scolastica, comunità per bambini e adolescenti, accoglienza, cura e sostegno di tossicodipendenti, prevenzione nelle scuole e sul territorio, segretariato sociale, housing sociale, attività di strada.
Prima di tutto la relazione
“Relazione”. Don Gino Rigoldi la ritiene “una delle parole più importanti per la nostra vita privata, sociale, laica o cristiana ma non per questo riconosciuta, proposta e fatta diventare regola nelle quotidiane pratiche individuali e sociali, centro della educazione nella famiglia e nelle scuole”. Lo ha detto chiaramente lo scorso 4 dicembre, quando insieme a don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, e don Virginio Colmegna, fondatore della Casa della Carità, ha ricevuto la laurea honoris causa in “Scienze della comunicazione sociale” all’Università di Milano. “L’antropologia, la cultura, la fede nella relazione – ha spiegato - si fonda sulla convinzione che ogni essere umano è uguale a me e titolare di una dignità e di diritti sacri ed inalienabili. Per un cristiano ogni uomo o donna è figlia o figlio di Dio come me”. Secondo il cappellano del Beccaria, dunque, “la convinzione preliminare è che con ogni persona è possibile costruire rapporti, collaborazioni, amicizia”. Per i cristiani, “la relazione è un atto di fede, una ubbidienza di fede perché è una delle prime declinazioni della pratica concreta del grande Comandamento dell’amore”.