UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Addio a padre Busa,
l'informatico con la tonaca

Si è spento a Gallarate, all'età di 97 anni, padre Roberto Busa, il gesuita che fu un pioniere nell’uso del computer nella linguistica: l’uomo che ha cambia­to la storia dell’informatica “con­vertendo” il computer da ferraglia buona giusto per far calcoli velo­cemente... a protesi della vita quoti­diana.
11 Agosto 2011
Da qualche tempo, a ogni nuovo compleanno, rinno­vava il piccolo vezzo di spingersi subito sopra il gradino successivo, aumentandosi l’età di un anno, come a voler dire che po­tevano bastare. Per padre Roberto Busa, spentosi a 97 anni nella sera­ta del 9 agosto all’Aloisianum di Gallarate (dove si celebrano i funerali il 12 agosto alle 10), il secolo di vita era ormai a un passo, seb­bene la sua presenza si andasse appannando. E a chi lo incoraggia­va a non aver fretta di passare al­l’altra sponda replicava con un sorriso paziente di aver già vissuto a sufficienza, e di aver provveduto a lasciare consegne, beni e biblio­teca a chi di dovere. «Sono nullate­nente», scherzava: e non c’era da stupirsene, considerato lo stile di vita essenziale dell’infaticabile gi­ramondo. L’uomo che ha cambia­to la storia dell’informatica “con­vertendo” il computer da ferraglia buona giusto per far calcoli velo­cemente a protesi della vita quoti­diana con la quale dialogare viveva già immerso nello splendore abba­gliante del Logos che l’aveva affa­scinato sin dall’ingresso in semi­nario nel 1928, trascinandolo in un’impareggiabile avventura cri­stiana e scientifica. Di lui le biogra­fie ufficiali ricorderanno – giusta­mente – anzitutto i grandi meriti intellettuali e l’opera anticipatrice nel campo delle nuove tecnologie applicate al linguaggio e alle scien­ze umane, che ha fatto di lui il vero pioniere degli ipertesti. Senza la sua ardita intuizione (parliamo del 1946) la storia del computer avreb­be preso un’altra piega. Padre Bu­sa, vicentino, compagno di forma­zione sacerdotale di Albino Lucia­ni, gesuita dal 1933 e sacerdote dal 1940, ha non solo aperto una stra­da, ma l’ha anche spianata, messa in sicurezza, codificata e attrezzata con metodicità: non gli interessava essere il primo, ma tracciare minu­ziosamente una mappa e metterla a disposizione di tutti. Ecco perché pochi storici dell’informatica ne conoscono davvero i meriti, che invece tra i nomi che hanno fatto la storia dell’industria tecnologica sono ben noti. Bill Gates e Steve Jobs, Google e Facebook hanno schiuso altre soglie decisive, ma arrampicandosi senza saperlo sul­le spalle di questo gesuita impo­nente e pacato che nulla lasciava all’improvvisazione crescendo ge­nerazioni di studiosi con la sua in­confondibile pedagogia della pa­zienza e un’intelligenza umanisti­ca rimasta viva e contagiosa ben oltre i 90 anni. È impossibile però cogliere il segreto più profondo di padre Busa senza partire dal suo sentirsi nel vivo di un mondo che è tutto nelle mani buone di Dio. A ben vedere, e ripensando al suo modo di spiegare gli infiniti garbu­gli dell’esistenza umana, ha sem­pre vissuto nell’ansia di vedere il Padre faccia a faccia, di colmare l’attesa di entrare in quel mistero che aveva iniziato a esplorare di­ventando il massimo conoscitore del pensiero di Tommaso d’Aqui­no. Per Busa la scienza e la pre­ghiera, la vita religiosa (con l’obbe­dienza ai superiori anche nelle mi­nuzie) e quella culturale, l’intellet­to analitico e la contemplazione, la Messa quotidiana e gli impegni continui in sempre nuovi progetti accademici sono sempre stati un corpo vivo e inseparabile. Il desi­derio di conoscere e la certezza che la risposta a ogni domanda u­mana sta nell’amicizia con Cristo, e in un mistero al quale affidarsi serenamente nell’attesa che si sve­li, in lui hanno convissuto in un’ar­monia evidente a chiunque abbia avuto la fortuna di conoscerlo. È certo che nell’anticamera newyorkese del big boss di Ibm Tho­mas Watson, nel 1949, l’al­lampanato e sconosciuto gesuita vi­centino si sia presentato non solo per tentare di convincere il mito vivente dell’industria elettro­nica a seguirne le stravaganti visio­ni umanistiche (e ci riuscì) ma an­che per il desiderio sempre vibran­te di portare Dio là dove lo si stava mettendo alla porta, proprio a o­pera di chi mostrava con i successi della tecnologia di cosa è capace l’inaudito dono dell’intelligenza creata. Fino all’ultima fibra della sua anima, padre Busa è stato an­zitutto un prete autentico, un mo­dello di gesuita di cui sant’Ignazio può andare fiero. Frequentando i leader dell’industria informatica e i luminari delle università di tutto il mondo ha sempre mostrato an­zitutto il desiderio e la curiosità di vedere le persone così come sono.
Ha percorso il mondo seminando amicizia e spirito cristiano anche là dove trovava un’apparente indif­ferenza religiosa: un seme sparso a piene mani dalla sua base operati­va di Gallarate a Roma, Milano, Pi­sa e Venezia, dai laboratori di cal­colo negli Stati Uniti alle università dell’Europa orientale (frequentate ancora in piena guerra fredda) e, più di recente, del Maghreb e dell’Asia. Ma la sua vera casa acca­demica, insieme alla Gregoriana, è stata l’Università Cattolica, che lo annovera tra le proprie glorie, e dove ha fondato il Gircse, avampo­sto mondiale della linguistica computazionale. Cattolica e Gre­goriana raccolgono ora la sua im­ponente eredità, insieme alla ni­diata di ricercatori che ha avviato a una disciplina esigente e difficile, nel rispetto assoluto della regola di creare strumenti per l’analisi te­stuale da mettere a disposizione di altri, senza cercare la ribalta. Solo con questo rigore, sempre stempe­rato da un’acuta bonarietà, si spie­ga l’impressionante opera che re­sta legata al suo nome: quell’Index Thomisticus che in 56 volumi composti in trent’anni di lavoro grazie a schede perforate e nastri magnetici, e poi approdato ai bit delle tecnologie digitali, analizza parola per parola l’opera omnia dell’Aquinate alla ricerca della ra­tio che ne governò le scelte con­cettuali e terminologiche. È qui il nocciolo del “metodo Busa”: scan­dagliare la lingua di letterati e teo­logi per giungere al nucleo del loro pensiero, superando l’ostacolo di secoli, idiomi, culture e religioni. Una ricerca dell’uomo vero, del suo segreto, dell’impronta del Creatore.