UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Anicec, intervista a Monsignor Viganò

Per la Chiesa occuparsi della cultura significa guardare soprattutto all’uomo, alle sue vicende e al suo futuro con speranza. Monsignor Dario Edoardo Viganò, direttore scientifico del corso Anicec traccia il profilo dell’animatore della comunicazione e della cultura.
29 Gennaio 2008

 

Per la Chiesa occuparsi della cultura significa guardare soprattutto all’uomo, alle sue vicende e al suo futuro con speranza. Monsignor Dario Edoardo Viganò, direttore scientifico del corso Anicec (http://www.anicec.it) traccia il profilo dell’animatore della comunicazione e della cultura: “Questa figura ha iniziato ad assumere una fisionomia, anche se non del tutto sovrapponibile a quella tratteggiata nel cap. VI del Direttorio, già nel Convegno di Chianciano del 1999. Non dunque una figura che nasce da urgenze contingenti; piuttosto un ministero ecclesiale che si radica nella dinamica tradizionale della Chiesa per cui intelligo ut credam”.

 

Dalla formazione in senso stretto alla formazione a distanza (Fad) il passo non è stato breve, ma non si parte da zero…  

Nel mondo ecclesiale ci sono sempre state persone legate al mondo della comunicazione: pensiamo ai responsabili della buona stampa, alle molte radio parrocchiali o diocesane, ai settimanali. Dunque nella formazione di un animatore della comunicazione e della cultura non partiamo da zero. Certo oggi l’intervento della Chiesa italiana è decisamente più strutturato: anzitutto è chiara l’idea che nella formazione di questa figura non si debba replicare una pastorale della cultura di settore ma piuttosto coltivare un esperto di inculturazione. Inoltre è necessario convocare le risorse già presenti sul territorio come i molti giovani con alle spalle percorsi accademici specifici e motivazioni solide. Un cammino di formazione che aiuti tutti noi a rispondere, nella concretezza degli scenari storici, alla domanda “Signore da chi andremo?”

Dopo un anno di formazione a distanza è stato definito un profilo in uscita che rispetta gli obiettivi specifici di quello in entrata oppure in futuro si dovranno adottare dei correttivi?

Il profilo è precisato nella stessa proposta formativa. Il corso, sotto la paternità dell’Ufficio nazionale, è stato organizzato da due centro accademici differenti per tradizione e per vocazione: l’università Lateranense, l’università del Papa e la Cattolica di Milano. Non una correlazione tra attenzioni etiche (Laterano) e competenze tecnico-scientifiche (Cattolica), ma un dinamismo cognitivo a partire dalla figura concreta di uomo e di donna che, nell’attuale scenario così fortemente segnato dalla presenza capillare dei media, è chiamata a trovare modalità proprie per la propria esperienza da credente. Non si tratta semplicisticamente di formare dei tecnici con una particolare attenzione morale. Si tratta piuttosto di individuare le coordinate possibili oggi per l’esperienza credente.

Quali caratteristiche?

Credente appassionato del Vangelo con un profilo antropologico fresco e aperto, affascinato del bello, con capacità di leadership e insieme capace di giocare in squadra. L’animatore non rivendica ruoli e posti ma accompagna indicando possibili percorsi.

Se dovessimo dare una definizione dell’animatore, cosa possiamo dire?

Credo che il modo migliore e più incisivo ci sia stato consegnato da Giovanni Paolo II al grande incontro Parabole Mediatiche quando ci diceva: «In questo campo servono operai che, con il genio della fede, sappiano farsi interpreti delle odierne istanze culturali, impegnandosi a vivere questa epoca della comunicazione non come tempo di alienazione e di smarrimento, ma come tempo prezioso per la ricerca della verità e per lo sviluppo della comunione tra le persone e i popoli».  Uomini e donne che appassionati del Signore facciamo scoprire l’eccedenza, il di più del Vangelo nelle storie e nelle vicende di cui il territorio dell’umano è straordinariamente ricco.

In che modo l’animatore potrà aiutare a superare quel disagio che a volte si avverte nelle diocesi e nelle parrocchie di inadeguatezza di modelli educativi tradizionali rispetto alle nuove generazioni?

Anzitutto vivendo una reale condivisione di responsabilità negli organismi di comunione ecclesiale (il consiglio pastorale parrocchiale) garantendo così efficacia e dinamismo missionario al progetto pastorale. L’ideale, per tale condivisione, è dunque l’inserimento nel consiglio pastorale parrocchiale. Il Direttorio poi declina poi alcuni specifici ambiti di azione. Anzitutto la sala della comunità con la molteplicità delle forme espressive; la rete dei media cattolici locali e nazionali; le grandi opportunità che offre la rete e, certamente, i moltissimi centri culturali. Tale condivisione di responsabilità rende l’animatore un esperto dei processi di inculturazione pensati all’interno del progetto culturale della Chiesa italiana.


Vincenzo Grienti