UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Animatori, futuro presente

Il Portaparola di Avvenire fa il punto sulla evoluzione di una figura delineata dal Diretto­rio delle Comunicazioni sociali Comunicazione e missione del 2004: l'animatore della comunicazione e della cultura, un nuovo protagonista nella missione della Chiesa nell'era digitale...
25 Settembre 2012
Accanto a figure ormai 'collaudate' come il ca­techista e l’animatore della liturgia e della carità, negli ultimi anni in alcune parrocchie si è inserita anche quella dell’ani­matore della comunicazione e della cultura. Secondo il Diretto­rio delle Comunicazioni sociali Comunicazione e missione del 2004 questo nuovo protagonista nella missione della Chiesa deve stimolare la comunità e «con il ge­nio della fede, farsi interprete del­le nuove istanze culturali, impe­gnandosi a vivere questa epoca della comunicazione non come tempo di alienazione e di smarri­mento, ma come tempo prezioso per la ricerca della verità e per lo sviluppo della comunione tra le persone e i popoli».
Vista la crescente influenza che i media esercitano sul pensiero e il comportamento delle persone, a­doperarsi perché ogni comunità cristiana sia attrezzata per af­frontare la sfida della comunica­zione con competenza e stru­menti all’altezza è diventato oggi un compito sempre più necessa­rio. Per questo motivo, con l’ini­zio dell’anno pastorale, alla vigi­lia dell’Anno della fede, si rinno­va anche l’impegno culturale del­la Chiesa italiana. Finora la figu­ra dell’animatore, di cui il Porta­parola è stato una sorta di apripi­sta, ha preso piede in alcune realtà, ma ancora non si è radica­ta in modo uniforme sul territo­rio nazionale. «Il Direttorio ha a­perto una strada – spiega monsi­gnor Domenico Pompili, diretto­re dell’Ufficio nazionale per le co­municazioni sociali della Cei –, ma serve tempo per metaboliz­zare queste intuizioni. Per acce­lerare il processo occorre investi­re nella formazione. In particola­re dei giovani, che sono i veri pro­tagonisti. Un punto di riferimen­to, in questo senso, è rappresen­tato dall’Anicec, il corso di alta for­mazione per animatori della cul­tura e della comunicazione che si svolge ogni anno».
La vera sfida è dunque quella del coinvolgimento, come evidenzia il vescovo di Macerata-Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia, monsi­gnor Claudio Giuliodori, diretto­re dell’Ufficio per le comunica­zioni sociali negli anni in cui è sta­to elaborato e varato il Direttorio. «Il successo dei convegni 'Para­bole mediatiche' del 2002 e di 'Testimoni digitali' nel 2010 do­cumentano che esiste da tempo un popolo delle comunicazioni e della cultura – sottolinea Giulio­dori –. Adesso serve una conver­sione pastorale che allarghi l’o­rizzonte. Anche perché il raggio d’azione dell’animatore non è ri­conducibile all’interno delle mu­ra della Chiesa, ma collega tutti gli ambiti sociali, culturali e me­diatici ». Vivere da protagonisti i processi culturali in corso, secondo il ve­scovo di Noto, monsignor Anto­nio Staglianò , tra i 'padri' del Progetto culturale della Cei, è in­dispensabile per una Chiesa che vuole essere «locomotiva di o­rientamento » e non «andare a ri­morchio » di altri. «La celebrazio­ne, la liturgia e la testimonianza della carità – sostiene Staglianò – da sole non bastano. Il 'quarto pi­lastro' deve essere rappresentato dalla cultura. Per questo occorre procedere con corsi e seminari di formazione e, allo stesso tempo, cercare di sfruttare tutti gli spazi che i media locali e nazionali met­tono a disposizione per comuni­care il Vangelo nella cultura di og­gi ».
La conditio sine qua non per es­sere un animatore della cultura e della comunicazione, secondo padre Antonio Spadaro , diretto­re de La Civiltà Cattolica e stu­dioso dell’impatto dei media sul­le comunità ecclesiali, è «abitare» la società di oggi dove comunica­re non significa trasmettere ma «condividere». «Anzitutto è ne­cessario essere immersi e com­prendere il contesto per fare una esperienza culturale (leggere, an­dare al cinema,…) significativa. Solo a partire dall’esperienza è possibile riflettere, capire i signi­ficati del vissuto, e quindi agire mettendo le proprie competenze a disposizione della comunità. Il momento della valutazione, infi­ne, è indispensabile».