Accanto a figure ormai 'collaudate' come il catechista e l’animatore della liturgia e della carità, negli ultimi anni in alcune parrocchie si è inserita anche quella dell’animatore della comunicazione e della cultura. Secondo il Direttorio delle Comunicazioni sociali Comunicazione e missione del 2004 questo nuovo protagonista nella missione della Chiesa deve stimolare la comunità e «con il genio della fede, farsi interprete delle nuove istanze culturali, impegnandosi a vivere questa epoca della comunicazione non come tempo di alienazione e di smarrimento, ma come tempo prezioso per la ricerca della verità e per lo sviluppo della comunione tra le persone e i popoli».
Vista la crescente influenza che i media esercitano sul pensiero e il comportamento delle persone, adoperarsi perché ogni comunità cristiana sia attrezzata per affrontare la sfida della comunicazione con competenza e strumenti all’altezza è diventato oggi un compito sempre più necessario. Per questo motivo, con l’inizio dell’anno pastorale, alla vigilia dell’Anno della fede, si rinnova anche l’impegno culturale della Chiesa italiana. Finora la figura dell’animatore, di cui il Portaparola è stato una sorta di apripista, ha preso piede in alcune realtà, ma ancora non si è radicata in modo uniforme sul territorio nazionale. «Il Direttorio ha aperto una strada – spiega monsignor Domenico Pompili, direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della Cei –, ma serve tempo per metabolizzare queste intuizioni. Per accelerare il processo occorre investire nella formazione. In particolare dei giovani, che sono i veri protagonisti. Un punto di riferimento, in questo senso, è rappresentato dall’Anicec, il corso di alta formazione per animatori della cultura e della comunicazione che si svolge ogni anno».
La vera sfida è dunque quella del coinvolgimento, come evidenzia il vescovo di Macerata-Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia, monsignor Claudio Giuliodori, direttore dell’Ufficio per le comunicazioni sociali negli anni in cui è stato elaborato e varato il Direttorio. «Il successo dei convegni 'Parabole mediatiche' del 2002 e di 'Testimoni digitali' nel 2010 documentano che esiste da tempo un popolo delle comunicazioni e della cultura – sottolinea Giuliodori –. Adesso serve una conversione pastorale che allarghi l’orizzonte. Anche perché il raggio d’azione dell’animatore non è riconducibile all’interno delle mura della Chiesa, ma collega tutti gli ambiti sociali, culturali e mediatici ». Vivere da protagonisti i processi culturali in corso, secondo il vescovo di Noto, monsignor Antonio Staglianò , tra i 'padri' del Progetto culturale della Cei, è indispensabile per una Chiesa che vuole essere «locomotiva di orientamento » e non «andare a rimorchio » di altri. «La celebrazione, la liturgia e la testimonianza della carità – sostiene Staglianò – da sole non bastano. Il 'quarto pilastro' deve essere rappresentato dalla cultura. Per questo occorre procedere con corsi e seminari di formazione e, allo stesso tempo, cercare di sfruttare tutti gli spazi che i media locali e nazionali mettono a disposizione per comunicare il Vangelo nella cultura di oggi ».
La conditio sine qua non per essere un animatore della cultura e della comunicazione, secondo padre Antonio Spadaro , direttore de La Civiltà Cattolica e studioso dell’impatto dei media sulle comunità ecclesiali, è «abitare» la società di oggi dove comunicare non significa trasmettere ma «condividere». «Anzitutto è necessario essere immersi e comprendere il contesto per fare una esperienza culturale (leggere, andare al cinema,…) significativa. Solo a partire dall’esperienza è possibile riflettere, capire i significati del vissuto, e quindi agire mettendo le proprie competenze a disposizione della comunità. Il momento della valutazione, infine, è indispensabile».