«Nelle fiction si vedono sempre famiglie allargate, io vado controcorrente e porto in tv un matrimonio indissolubile, come quello dei miei genitori e il mio». Pupi Avati si sta godendo finalmente qualche giorno di vacanza, dopo aver terminato il montaggio del suo ultimo film,
Il cuore grande delle ragazze nelle sale l’11 novembre, e prima del ritorno sul set a ottobre per le riprese della serie tv
Un matrimonio. Saranno sei puntate targate Rai Fiction in onda su Raiuno nel 2012. Nel cast Micaela Ramazzotti, Flavio Parenti e Cristian De Sica.
Avati, per il suo ritorno in tv, lei propone una famiglia che è il contrario dei «Cesaroni» o di «Tutti pazzi per amore».
Racconto 50 anni di storia italiana attraverso la vita di una coppia, e lo faccio dall’alto della mia esperienza dopo 48 anni di matrimonio. Mi sembra che parlare di matrimonio sia improprio, in certi casi addirittura scorretto, da parte di chi lo ha vissuto con la frettolosità di accedervi presto e di liberarsene altrettanto in fretta. Oggi si guarda al matrimonio con una sorta di diffidenza, come a qualche cosa di anacronistico. Anche i modelli proposti dalla cosiddetta 'tv evoluta' mostrano contesti familiari molto molto aperti, in cui le opportunità di trovare delle soluzioni sono infinite, senza considerare invece che nella realtà i figli poi ne subiscono conseguenze devastanti.
Quali sono gli ingredienti che hanno fatto durare il suo di matrimonio?
Bisogna essere consapevoli che il matrimonio è il mestiere più difficile del mondo, farlo durare tanti anni è faticosissimo. Il mio ha vissuto tutte le turbolenze del matrimonio lungo, tutte le seduttività proposte dall’esterno, passando tutta una serie di verifiche per poi uscirne sempre più irrobustito nella convinzione che ho accanto a me una persona insostituibile. Mia moglie è una donna complicata, difficile, io sono un marito insopportabile, litighiamo spesso, ma la conoscenza reciproca è così profonda che lei è lo scrigno all’interno del quale si racchiude tutta la mia memoria. Nessuno al mondo sa di me quanto sa lei, e viceversa. La riuscita del matrimonio è nella complementarietà.
Non sarà stato semplice vivere accanto a un artista come lei.
Mia moglie non si è mai piegata totalmente al marito in carriera. Anzi, lei mi ha sempre preso in giro. Ogni volta che tornavo a casa dal set, mi ha riportato con i piedi per terra, mi ha aiutato a mantenere un rapporto con la normalità. E avere figli e nipoti, mi fa vivere nella responsabilità. Anche i figli sono stati una delle ragioni forti del preservare il nostro matrimonio. Penso che oggi uno, prima di buttare all’aria egoisticamente una situazione familiare con i figli, privandoli di una figura genitoriale, debba farsi un esame di coscienza e rispondersi: non ne ho il diritto.
Genitori e figli: nella fiction si mescolano i matrimoni di suo padre e sua madre e il suo.
La fiction inizia dalla chiesa di San Giuseppe dove due coniugi settantenni decidono di risposarsi dopo 50 anni di matrimonio. Poi inizia il flashback. Si parte dalla storia dei miei genitori, l’ostinata vicenda di due ragazzi che si conoscono nel 1948: papà rampollo della medio-alta borghesia bolognese, mamma dattilografa figlia di operai. E io do grandissimo valore al fatto di essere figlio di due contesti sociali così difformi.
Nel 1955 si sposano, nel 2005, festeggiano le nozze d’oro. L’inizio spetta ai miei genitori, poi piano piano mi sostituisco io. Loro sono stati una lezione di vita: ancora oggi a 72 anni, quando devo affrontare delle decisioni in cui occorre molto buon senso, penso a come si comporterebbero miei genitori.
Ma per lei quanto vale il matrimonio come sacramento?
Oggi il fatto che diminuiscano i matrimoni in chiesa è un segno di quel relativismo etico denunciato da Benedetto XVI. Ognuno di noi si fa la sua morale «prêt à porter» che gli permetta di avere tutti i vantaggi, rispettando le leggi, ma non la coscienza. Se noi rimettessimo in campo i Dieci Comandamenti, invece, avremmo una società civile di altissimo profilo. Io sono uno di quei credenti che tutti i giorni deve rimettere in piedi la loro fede: ma io ho bisogno di essere credente, è una necessità confidare in una complicita in qualcuno che mi trascende, mi accompagna, mi da forza, mi aiuta a vivere. Mi da forza anche sapere che la nostra unione è stata benedetta. Nel matrimonio sono gli sposi stessi che celebrano il sacramento nel promettersi davanti a Dio: io questa promessa l’ho fatta 48 anni fa, cerco di essere coerente.
E che Italia vien fuori dalla sua fiction?
L’Italia vista dall’osservatorio speciale della gente normale. Nei libri di storia e anche in tv si raccontano sempre grandi eventi, grandi personaggi. Raramente quello che pensa la gente comune: è con i loro occhi che guarderò il dopoguerra, l’Italia in ginocchio, la ricostruzione, i moti degli anni 70, la strage della stazione di Bologna.
Nel cast di nuovo Christian De Sica e Micaela Ramazzotti, ambedue già protagonisti dei suoi film...
De Sica interpreta mio nonno, un personaggio della Bologna bene, molto pittoresco, affascinante, che assomigliava a certi personaggi di suo padre Vittorio. Splendido e pieno di debiti che lasciò sulle spalle di mio padre anche due sorelle, una madre e una zia da mantenere. Lui trovò aiuto in mia madre, una donna forte e concreta a cui la Ramazzotti, una delle migliori attrici che abbia incontrato nella mia vita, dà sensibilità e forza straordinaria, interpretandola dai 20 ai 70 anni.
Appare anche il tema dell’adozione.
Mi ispiro a un episodio vero di un’altra famiglia. La coppia nella fiction, dopo due figli maschi adotterà in orfanotrofio una bambina poliomelitica sulla sedia a rotelle. Un gesto enorome: oggi quella bimba è una psichiatra molto affermata a Bologna. Ed è lei che nella fiction racconta la storia.