UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Avati: in tv
il valore del matrimonio

Saranno sei puntate tar­gate Rai Fiction in onda su Raiuno nel 2012. Nel cast Micaela Ramazzotti, Flavio Parenti e Cristian De Sica. «Nelle fiction si vedono sempre famiglie allar­gate, io vado contro­corrente e porto in tv un matrimonio indissolubile, come quello dei miei genitori e il mio».
12 Agosto 2011
«Nelle fiction si vedono sempre famiglie allar­gate, io vado contro­corrente e porto in tv un matrimonio indissolubile, come quello dei miei genitori e il mio». Pupi Avati si sta go­dendo finalmente qualche giorno di vacanza, dopo aver terminato il mon­taggio del suo ultimo film, Il cuore grande delle ragazze nelle sale l’11 no­vembre, e prima del ritorno sul set a ottobre per le riprese della serie tv Un matrimonio. Saranno sei puntate tar­gate Rai Fiction in onda su Raiuno nel 2012. Nel cast Micaela Ramazzotti, Flavio Parenti e Cristian De Sica.

 
 
Avati, per il suo ritorno in tv, lei pro­pone una famiglia che è il contrario dei «Cesaroni» o di «Tutti pazzi per a­more».
Racconto 50 anni di storia italiana at­traverso la vita di una coppia, e lo fac­cio dall’alto della mia esperienza do­po 48 anni di matrimonio. Mi sembra che parlare di matrimonio sia im­proprio, in certi casi addirittura scor­retto, da parte di chi lo ha vissuto con la frettolosità di accedervi presto e di liberarsene altrettanto in fretta. Oggi si guarda al matrimonio con una sor­ta di diffidenza, come a qualche co­sa di anacronistico. Anche i modelli proposti dalla cosiddetta 'tv evolu­ta' mostrano contesti familiari mol­to molto aperti, in cui le opportunità di trovare delle soluzioni sono infini­te, senza considerare invece che nel­la realtà i figli poi ne subiscono con­seguenze devastanti.
 
Quali sono gli ingredienti che han­no fatto durare il suo di matrimo­nio?
Bisogna essere consapevoli che il ma­trimonio è il mestiere più difficile del mondo, farlo durare tanti anni è fati­cosissimo. Il mio ha vissuto tutte le turbolenze del matrimonio lungo, tutte le seduttività proposte dall’e­sterno, passando tutta una serie di verifiche per poi uscirne sempre più irrobustito nella convinzione che ho accanto a me una persona insosti­tuibile. Mia moglie è una donna com­plicata, difficile, io sono un marito in­sopportabile, litighiamo spesso, ma la conoscenza reciproca è così profon­da che lei è lo scrigno all’interno del quale si racchiude tutta la mia me­moria. Nessuno al mondo sa di me quanto sa lei, e viceversa. La riuscita del matrimonio è nella complemen­tarietà.
 
Non sarà stato semplice vivere ac­canto a un artista come lei.
Mia moglie non si è mai piegata to­talmente al marito in carriera. Anzi, lei mi ha sempre preso in giro. Ogni volta che tornavo a casa dal set, mi ha riportato con i piedi per terra, mi ha aiutato a mantenere un rapporto con la normalità. E avere figli e nipoti, mi fa vivere nella responsabilità. Anche i figli sono stati una delle ragioni for­ti del preservare il nostro matrimonio. Penso che oggi uno, prima di butta­re all’aria egoisticamente una situa­zione familiare con i figli, privandoli di una figura genitoriale, debba farsi un esame di coscienza e risponder­si: non ne ho il diritto.
 
Genitori e figli: nella fiction si me­scolano i matrimoni di suo padre e sua madre e il suo.
La fiction inizia dalla chiesa di San Giuseppe dove due coniugi settantenni deci­dono di risposar­si dopo 50 anni di matrimonio. Poi inizia il flash­back. Si parte dalla storia dei miei genitori, l’ostinata vicenda di due ragazzi che si conoscono nel 1948: papà rampollo della medio-al­ta borghesia bolognese, mamma dat­tilografa figlia di operai. E io do gran­dissimo valore al fatto di essere figlio di due contesti sociali così difformi.
Nel 1955 si sposano, nel 2005, fe­steggiano le nozze d’oro. L’inizio spetta ai miei genitori, poi piano pia­no mi sostituisco io. Loro sono stati una lezione di vita: ancora oggi a 72 anni, quando devo affrontare delle decisioni in cui occorre molto buon senso, penso a come si comporte­rebbero miei genitori.
 
Ma per lei quanto vale il matrimo­nio come sacramento?
Oggi il fatto che diminuiscano i ma­trimoni in chiesa è un segno di quel relativismo etico denunciato da Be­nedetto XVI. Ognuno di noi si fa la sua morale «prêt à porter» che gli per­metta di avere tutti i vantaggi, rispet­tando le leggi, ma non la coscienza. Se noi rimettessimo in campo i Die­ci Comandamenti, invece, avremmo una società civile di altissimo profi­lo. Io sono uno di quei credenti che tutti i giorni deve rimettere in piedi la loro fede: ma io ho bisogno di es­sere credente, è una necessità confi­dare in una complicita in qualcuno che mi trascende, mi accompagna, mi da forza, mi aiuta a vivere. Mi da forza anche sapere che la nostra u­nione è stata benedetta. Nel matri­monio sono gli sposi stessi che cele­brano il sacramento nel promettersi davanti a Dio: io questa promessa l’ho fatta 48 anni fa, cerco di essere coerente.
 
E che Italia vien fuori dalla sua fic­tion?
L’Italia vista dall’osservatorio specia­le della gente normale. Nei libri di sto­ria e anche in tv si raccontano sem­pre grandi eventi, grandi personaggi. Raramente quello che pensa la gen­te comune: è con i loro occhi che guarderò il dopoguerra, l’Italia in gi­nocchio, la ricostruzione, i moti de­gli anni 70, la strage della stazione di Bologna.
 
Nel cast di nuovo Christian De Sica e Micaela Ramazzotti, ambedue già protagonisti dei suoi film...
De Sica interpreta mio nonno, un personaggio della Bologna bene, molto pittoresco, affascinante, che assomigliava a certi personaggi di suo padre Vittorio. Splendido e pieno di debiti che lasciò sulle spalle di mio padre anche due sorelle, una madre e una zia da mantenere. Lui trovò aiu­to in mia madre, una donna forte e concreta a cui la Ramazzotti, una del­le migliori attrici che abbia incontra­to nella mia vita, dà sensibilità e for­za straordinaria, interpretandola dai 20 ai 70 anni.
 
Appare anche il tema dell’adozione.
Mi ispiro a un episodio vero di un’al­tra famiglia. La coppia nella fiction, dopo due figli maschi adotterà in or­fanotrofio una bambina poliomeliti­ca sulla sedia a rotelle. Un gesto eno­rome: oggi quella bimba è una psi­chiatra molto affermata a Bologna. Ed è lei che nella fiction racconta la storia.