UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

C'è un nuovo ambiente
da conoscere e animare

Alla vigilia del convegno nazionale "Abitanti digitali" (Macerata, 19-21 maggio), interviene il direttore dell'Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali. L'impegno e­ducativo sul versante della nuova cultura mediatica dovrà costituire negli anni a venire un ambito privilegiato per la mis­sione della Chiesa.
17 Maggio 2011
L’ambiente digitale non è solo un nuovo conte­nitore per vecchi con­tenuti, ma è un contesto inclu­sivo in cui siamo immersi, e che ci costringe a ridefinire i nostri messaggi, ciò che pensiamo valga la pena comunicare, nei nuovi linguaggi, tenendo conto delle loro caratteristiche: istan­taneità, immersività, interatti­vità, multimedialità, orizzonta­lità e molte altre. Non tenere conto del fatto che «il medium è il messaggio», che se voglia­mo comunicare dobbiamo sfruttare le potenzialità e limi­tare i rischi dell’ambiente in cui ci muoviamo, che oggi è l’am­biente digitale, sarebbe come rassegnarsi all’afasia e all’inco­municabilità.

D’altra parte, muoversi consa­pevolmente nel nuovo ambien­te non significa accettarne le lo­giche in modo problematico, e soprattutto non significa inse­guire ingenuamente le mode dettate da chi in questo am­biente si muove senza scrupoli e senza interesse per l’umano, ma solo con logiche strumenta­li. A proposito dei nuovi media, si legge negli Orientamenti pa­storali Cei 2010-2020: «Essi van­no considerati positivamente, senza pregiudizi, come delle ri­sorse, pur richiedendo uno sguardo critico e un uso sa­piente e responsabile» (n. 51).
Se i criteri di successo nella re­te sono di tipo quantitativo, sta alla sensibilità di ciascuno in generale, e della Chiesa in particolare, cogliere i bisogni individuali che scompaiono dietro ai comportamenti conformi, intercettare le in­soddisfazioni per le risposte preconfezionate e banali che così facilmente e abbondante­mente la rete rende disponibili e offrire contesti di ascolto e di vicinanza; tutto questo sfrut­tando il carattere partecipativo dell’ambiente digitale per dar voce a letture della realtà, pro­spettive, desideri e immaginari che siano diversi da quelli im­prontati all’immanenza totale, al cinismo, all’idolatria, alla strumentalità e all’ipocrisia di tanta parte della cultura con­temporanea.
Questo significa, da parte della Chiesa, prendere la parola in modo compatibile con i nuovi linguaggi: non in modo intellet­tualistico e astratto, ma piutto­sto basato sulla testimonianza; non autoritario ma autorevole, perché capace di parlare all’u­mano nei suoi bisogni di senso inespressi ma profondi; non moralistico né tanto meno poli­tico, ma etico, orientato al vive­re bene insieme, nel rispetto in­tegrale di ciò che ci costituisce come esseri umani, nell’acco­glienza e nell’amore per la vita in tutte le sue molteplici forme (e non solo in quelle che corri­spondono agli standard fissati dalla cultura contemporanea).
Significa proporre una parola non di giudizio ma di acco­glienza, di vicinanza, di accom­pagnamento, di testimonianza di una verità che è credibile perché passa dalla vita e la illu­mina, attirando chi della luce ha bisogno; una parola poetica e non tecnica, che invita e non impone, che cerca di generare sapendo che oggi non è più pensabile limitarsi a «trasmet­tere » un messaggio.
Dentro l’ambiente digitale la Chiesa può contribuire a rinno­vare la cultura, ma anche rin­novarsi. Può parlare di sé in pri­ma persona, anziché farsi rac­contare da altri in modo stru­mentale, ma deve anche meglio imparare ad ascoltare e a far dialogare le sue diverse mem­bra, a dare spazio alle voci di chi in essa si riconosce, a pro­muovere un nuovo stile educa­tivo basato sull’incontro, l’ac­coglienza, l’ascolto, la con-ge­nerazione di un modo di abita­re questo presente così com­plesso e ricco di sfide, ma an­che così ricco di opportunità per un nuovo umanesimo digi­tale. Per questo, «l’impegno e­ducativo sul versante della nuova cultura mediatica dovrà costituire negli anni a venire un ambito privilegiato per la mis­sione della Chiesa».