Web 2.0, una sigla apparentemente insignificante, ma che da qualche anno sta facendo discutere esperti di Internet, mass mediologi e non solo. Il fenomeno del web 2.0, locuzione che indica l’ulteriore evoluzione della Rete grazie allo sviluppo di applicazioni e software che permettono una maggiore partecipazione, relazione e interazione, è un fenomeno che interessa anche istituzioni come la Cei che il 19 e 20 gennaio 2009 attraverso l’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali e il Servizio informatico ha promosso un convegno nazionale a Roma dal titolo “Chiesa in rete 2.0” (www.chiesacattolica.it/comunicazione). “Comprendere e conoscere”, “educare e accompagnare” sono stati i “due compiti” che il vescovo Maria - no Crociata, segretario generale della Conferenza episcopale italiana, ha affidato agli oltre 200 partecipanti al convegno nazionale. Il mondo di Internet negli ultimi quindici anni ha avuto non pochi cambiamenti “che sono tuttora in atto. Ciò – ha detto Crociata – conferma il contesto accelerato in cui siamo chiamati a operare”. Nonostante tale evoluzione, però, “siamo in presenza ancora di un’oscillazione tra esaltazione e diffidenza rispetto a Internet, tra paura e idolatria, tra senso di minaccia e adesione ingenua e indiscriminata”. “Noi non siamo – secondo la nota meta fora di Marc Prensky – dei digital native, come tutti i bambini che sono nati dopo la diffusione di Internet, in pratica i nostri teenagers – ha sottolineato don Domenico Pompili, direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della Cei –. Noi siamo probabilmente le ultime generazioni dell’era Gutemberg, appunto degli ‘immigranti digitali’, perché non siamo nati in una società multischermo e non siamo cresciuti, alimentandoci a questa nuova modalità di ‘fare esperienza’, che plasma l’intelligenza ed orienta la stessa dinamica affettivo-relazionale”. Nell’era del web 2.0, la Chiesa non può rinunciare ad annunciare il messaggio evangelico anche attraverso i così detti “new media”, così come emerge dalle relazioni e dalle interviste pubblicate nel sito internet www.chiesainrete.org. È importante, però, comprendere quali siano i rischi e le opportunità offerte da Internet. Al di là dell'atteggiamento in un senso o nell'altro, ciò che sta avvenendo è una presa di coscienza: questo mondo “ha sempre di più il carattere del linguaggio di un ambiente e meno quello di uno strumento”. Da un’indagine effettuata su questo argomento dal Centro Interdisciplinare di ricerche e di servizi sulla Comunicazione dell’Università di Pisa (C.I.CO.) diretto da Adriano Fabris, docente di filosofia morale presso l’ateneo pisano, che è intervenuto al convegno su “Chiesa in rete 2.0” – è emerso che sono tre, sostanzialmente, i modelli di presenza delle esperienze religiose sul web sperimentati soprattutto fino ad oggi. Il primo è quello che possiamo chiamare il “modello della vetrina”: l’uso di Internet per rendere note le proprie iniziative. Il secondo è il “modello del contatto”: l’uso della Rete per tenere in collegamento gli aderenti a una comunità religiosa, soprattutto laddove un tale collegamento, per vari motivi, non può realizzarsi nelle forme della relazione interpersonale. Il terzo – ha aggiunto – è il modello della “sacralizzazione del Web”: quello adottato da una serie di comunità e di sette marginali che fanno della Rete l’occasione per fondare nuovi culti, per lo più costruiti a immagine e somiglianza delle religioni storiche.