UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Con voce chiara

Dal 4 dicembre Avvenire e il sito www.avvenire.it si rinnovano. Vi riproponiamo l'editoriale del Direttore, Marco Tarquinio, che accompagna questa importante novità ribadendo la fedeltà del giornale dei cattolici italiani alla propria missione: " Cronisti e lettori insie­me, da «gente d’Avvenire», nel tempo del cambiamento".
4 Dicembre 2013
Fare i giornali non è mai stato sem­plice, ma da qualche tempo è di­ventato un mestiere molto compli­cato. Nel mondo della comunica­zione e, dunque, in quello del­l’informazione tutto si sta facendo più veloce, più concitato, più superficiale e più immedia­to, che vuol dire senza mediazione. Ovvero senza media, cioè senza di noi (che siamo quelli che i giornali li fanno). Brutta storia. E forse per reazione o forse presunzione nel mondo del giornalismo tanto – troppo – sta diventando veemente, ostentatamente som­mario, persino rabbioso. È dura da accettare. E, infatti, non possiamo e non vogliamo ac­cettarlo. Perché questa è stata ed è una terra di buoni giornalisti e di lettori esigenti, spes­so migliori di chi li informa. Persone che non lasciano tranquilli. Noi di 'Avvenire' ne sap­piamo qualcosa degli uni e degli altri, dei buo­ni cronisti e degli ottimi lettori. Di entrambe le categorie abbiamo saputo essere 'casa': per quarantacinque lunghi e, appunto, mai tran­quilli anni, da quel 4 dicembre 1968 quando per la prima volta la testata del «quotidiano nazionale d’ispirazione cattolica», pensato e voluto da Paolo VI come 'voce' della Chiesa i­taliana e di un intero popolo, si spiegò par­lando del presente e già dicendo del futuro. Anche oggi è così, e non meno di ieri. E a mag­gior ragione in un tempo che ci offre (e ci sfi­da a usare bene) più ambienti, più canali, più mezzi, più occasioni per comunicare. Un’of­ferta a cui non si può dire di no. E non per pau­ra o per formale convenienza, ma per fedeltà e per salda convinzione. Noi di 'Avvenire' sia­mo parte di un piccolo esercito di cronisti che, anche in Italia, non si rassegna a quella dop­pia maledizione di cui ho appena scritto (la superficialità e una dura, dura volgarità) e che s’impegna per dimostrare che un’informazio­ne buona, affidabile e utile è ancora e sempre possibile. Anzi, che ci è necessaria come il pa­ne. Di più, che ci è indispensabile come la gioia di cui parla Papa Francesco, e che è l’altro no­me dell’amore cristiano. Ci serve un’informa­zione nutrita di felice e acuta curiosità. Una cu­riosità sana e addirittura – non sorridete, an­zi sorridete pure... – santa. Che fa appassio­nare a ogni tratto dell’umano, che tutti arriva ad abbracciare, comprendere e perdonare e prima di ogni altra cosa sta con i poveri, i pic­coli e i senza voce, ma mai scusa l’indifferen­za, la sopraffazione, la manipolazione, la di­sumanità. Un’informazione che fa crescere la consapevolezza della gente e, così, poco a po­co, inesorabilmente cambia il mondo. Perché aiuta a vedere, a ragionare, a comprendere. A capire che nessuno deve essere lasciato in­dietro e che nessuno si salva da solo, a farsi persuasi che vale sempre la pena di vivere se­condo giustizia e umanità.
Quattro anni fa ho cominciato a di­rigere questo giornale prendendo l’impegno di preservare la più bel­la tradizione di 'Avvenire': il saper «a­scoltare la foresta che cresce». Su queste pagine (di carta e digitali) e nel web ab­biamo continuato a raccontare il bene che accade senza far rumore e ci fa pro­cedere sul cammino comune. E l’abbia­mo fatto senza chiudere mai gli occhi sull’«albero che cade», sul male che ci di­vide, sulle ingiustizie che si consumano in Italia e nel mondo. Un mondo degli uomini e delle donne nel quale, per chi ha uno sguardo cristiano, sguardo non proprietario ma fraterno, nessuna con­dizione e nessun luogo sono mai estra­nei e lontani, invisibilmente periferici. Nessuno: dalle Filippine alluvionate al­la «terra dei fuochi e dei veleni» della Campania, dalla prigione pachistana di Asia Bibi giovane madre giudicata «bla­sfema » per la sua fede in Cristo ai disa­bili e ai carcerati che in casa nostra sono indegnamente confinati in una stessa categoria di «indegnità», dalle vittime in­nocenti dei narcos a Ciudad Juarez, in Messico, ai martiri siriani di Sadad e Maa­lula, dai profughi di Lampedusa a quel­li di Agadez, nel deserto del Niger, dagli operai di Taranto e di Prato ai contadini d’Africa... Continueremo a vedere, ad a­scoltare e a raccontare attraverso un quo­tidiano ancora più chiaro e luminoso e con un sito internet più ricco e agile. Cer­cheremo, ancora più di prima, di inter­pretare e offrire in lettura semplicemen­te un 'giorno nella vita del mondo'. In­vestigando i fatti, rispettando le persone, mettendo in primo piano le idee che ab­biamo, che ci interpellano, che è prezio­so condividere. Cronisti e lettori insie­me, da «gente d’Avvenire», nel tempo del cambiamento.

Marco Tarquinio