UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Contro la pirateria…
meglio la fantasia
che le manette!

Ma per battere la pirateria informatica o, meglio ancora, per stabilire un ordine innovativo, grazie al quale a un autore sia riconosciuto il diritto di essere pagato per il suo lavoro, occorre forse uno sforzo di fantasia. E in questo sì, anche i governi dovrebbero imparare dagli hacker...
23 Gennaio 2012
Ne è passa­to di tempo, dal primo giro di vite contro gli hacker. Era il 1990 e l’operazione aveva un nome in codice fin troppo inquietante, Sundevil (dove devil è diavolo). Anche allora gli schieramenti erano chiari e chiaramente contrapposti: da una parte il governo degli Stati Uniti, dall’altra i pirati che, forti delle loro competenze tecnologiche, erano riusciti a infrangere le leggi del copyright. Attenzione alle date, però, perché nel 1990 il World Wide Web non esisteva ancora. Il «codice sorgente» sul quale gli hacker della prima ora avevano messo le mani era quello delle reti telefoniche, all’epoca gestite in regime di monopolio strettissimo. Perquisizioni, arresti, grande clamore. Da lì a qualche anno, negli Usa e in tutto il mondo, il predominio dei gestori telefonici sarebbe stato messo a repentaglio da una serie di pratiche che, oggi come oggi, vanno dalla cara vecchia concorrenza commerciale fino alle videochiamate gratuite online. Per essere spettacolare, Sundevil fu spettacolare, ma la sua efficacia fu decisamente limitata. Anzi, gli storici dei media lo considerano un esempio perfetto di errore strategico: l’eccesso di rigore, nel magnifico mondo nuovo digitale, produce reazioni ancora più imprevedibili e, quindi, ancora più incontrollabili. Detto fatto. Giovedì la notizia dell’arresto di uno dei fondatori del sito Megaupload, Kim Schimtz, era appena stata diffusa e già i corsari virtuali di 'Anonymous' avevano attaccato con disarmante successo il portale del dipartimento della Giustizia statunitense. Segno che la bonaccia in cui, non più tardi di ventiquattr’ore prima, pareva essersi incagliata la querelle fra i sostenitori del libero web e i paladini della legalità informatica era solo apparente. Megaupload, tanto per intenderci, è il più efficiente tra i servizi che permettono di procacciarsi a costo zero canzoni e video, ebook e qualsiasi altro prodotto disponibile in formato digitale. Il sistema rappresenta un’evoluzione del peer-to-peer, lo «scambio alla pari» lanciato alla vigilia del 2000 da Napster, il sito che dovette poi chiudere i battenti a causa della battaglia intentata dalle major musicali. Una vittoria completa dal punto di vista giuridico, ma assai meno trionfale sul versante pratico. Perché da allora, bene che vada, gli album si comprano attraverso il download e i cd hanno vita sempre più difficile. In questo momento, negli Stati Uniti sono in discussione due diversi sistemi di protezione della proprietà intellettuale, il Sopa e il Pipa, il cui comune obiettivo consiste nell’impedire l’accesso selvaggio alle risorse della Rete. Il fatto che un film, o un telefilm, o uno show televisivo, possa essere «scaricato» senza nulla riconoscere a chi di dovere è considerato una minaccia verso l’intera industria dell’intrattenimento, che si vedrebbe così privata dei suoi introiti naturali. A Schmitz – noto anche con il soprannome di Dotcom e caratterizzato da comportamenti francamente megalomani, come testimonia lo strepitoso patrimonio accumulato in breve tempo – è imputato un danno di 500 milioni di dollari, sottratti in modo indebito a produttori, registi, cantanti e via dicendo. L’argomento sembra inoppugnabile, ma quando, negli anni Ottanta, fu adoperato per contrastare la diffusione dei sistemi di videoregistrazione domestica si rivelò più astratto che concretamente applicabile. Il che non significa che i pirati abbiano ragione, intendiamoci. Ma per batterli o, meglio ancora, per stabilire un ordine innovativo, grazie al quale a un autore sia riconosciuto il diritto di essere pagato per il suo lavoro, occorre forse uno sforzo di fantasia. E in questo sì, anche i governi dovrebbero imparare dagli hacker.