UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Le buone notizie ci sono. Vedi Arturo Mariani

Marco Testi al Copercom racconta la storia di Arturo Mariani, della Nazionale italiana calcio amputati.
10 Aprile 2017

Le buone notizie ci sono. Eccome, parola di Marco Testi. Il critico letterario ci racconta quella di Arturo Mariani, della Nazionale Italiana Calcio Amputati, esempio di coraggio e speranza per gli altri. Un altro contributo sulla riflessione promossa dal Copercom per la 51esima Giornata mondiale delle comunicazioni sociali. Sul Messaggio di Papa Francesco sono già intervenuti Domenico Delle FoglieCarlo MarroniTonino CantelmiPiero ChinellatoVania De Luca,  Massimiliano Padula, Fabio Zavattaro e don Fortunato Di Noto.

L’arte di dare buone notizie è facilitata dal fatto che le buone notizie esistono. Nello stesso tempo  questa bella e utile arte ha la vita difficile per il fatto che le buone notizie vengono messe in corpo 10, quando vengono messe, in un angoletto in basso della cronaca. O dello sport. Come nel caso della Nazionale Italiana Calcio Amputati del Csi, che si sta preparando per l’Europeo ad ottobre in Turchia.

La realtà vince la cronaca. Se la cronaca che sbatte il mostro in prima pagina ignora che gente senza una gamba ruota in aria per una rovesciata sotto porta, o ignora la capacità di corsa e resistenza pari o superiore a tanti coetanei sani nonché pigri, se ignora tutto questo invito alla speranza, sono affari suoi. E anche nostri, purtroppo. Sono affari tristi, perché quella cronaca fa solo una parte del suo dovere. Se ignora che uno di quei ragazzi che difenderanno i nostri colori in Turchia, Arturo Mariani, ha scritto un bellissimo libro dall’emblematico titolo di Nato così. Diario di un giovane calciatore senza una gamba (edizioni Croce), perde tanto, e quello che più conta fa perdere tantissimo ai lettori, perché toglie loro una parte del variegato spettacolo del mondo, fatto di indicibile violenza, lo sappiamo, ma anche di (in)dicibile voglia di vivere. In grado di far capire a quanti hanno handicap più o meno lievi, che nulla è impossibile, che si può perfino correre per decine di metri, scartare un avversario, tirare e fare goal, pur essendo un difensore centrale. Con il piccolo particolare di essere, da sempre, con una gamba in meno. “Appena mi accorgo che il pallone sta per arrivare, mi getto con tutte le mie forze in velocità dentro la loro difesa. Anticipo il difensore avversario, e al volo colpisco il pallone con il mio unico e ‘santo’ piede… GOOOOOOL!”.

Lui, i suoi compagni di squadra, i suoi avversari, sono non un banale invito all’ottimismo, ma un segnale reale, operativo, per quanti si sentono dire: non potrai più fare sport né altre attività a causa del tuo “incidente”. La buona notizia è che quello che gli dicono è falso, che non solo si può correre, ma pure giocare in nazionale, e come tutti i difensori fluidificanti, come Rocca e Maldini, segnare dopo essersi fatto di corsa tutto il campo.

Uno dirà che si tratta di pochi superuomini baciati due volte, una dalla sfortuna e una dalla fortuna. Neanche per sogno. Arturo, per tornare al nostro calciatore-scrittore, ha abitato nella periferia romana, ora a Guidonia, fa parte di una normalissima famiglia con sani – e però messi alla prova dei fatti – principi cristiani: “Io stesso sono nato da un atto di amore dei miei genitori che, pur sapendo che sarei nato senza una gamba, hanno accolto la mia vita come un dono speciale”, mi ha confidato in un’intervista di qualche tempo fa. Tutto normalmente difficile, insomma. Diplomato allo Scientifico, ora studente, e parte integrante di chiassose comitive di ragazzi e ragazze.

Ma la buona notizia non finisce qui. Quella nazionale va a Rebibbia, e deve giocare con l’unica squadra di detenuti che ne possono formare una stabile: quelli con più di dieci anni sulle spalle. Però la partita non è quello che ci si aspetta: “Erano attenti a non far male e sempre pronti a chiedere scusa in ogni occasione”. Il ragazzo, che dovrebbe fissarsi sui propri problemi, sa guardare fuori di sé e vedere la sofferenza negli altri: “Per noi, ragazzi di ‘buona famiglia’, abituati alla comodità e alla libertà più assoluta, respirare quel senso di finito, di chiuso, dove l’aria scarseggia, dove gli sguardi assumono significati impalpabili, è qualcosa che lascia senza fiato”.

Una persona super e normale, sempre gentilissimo e pronto a portare la sua testimonianza, nonostante sia pieno di impegni, nonostante sia un nazionale, campione di calcio, certo, ma anche di buone notizie. Con un obiettivo: “Mi auguro di poter raccontare un giorno ai miei figli che ce l’ho messa tutta e di aver dato il  mio piccolo contributo a rendere migliore il nostro mondo, per il bene di tutti!”. Mi sa che di queste buone notizie ce ne sono altre. Cerchiamole bene.