Don Antonio, a chi si rivolge 'Credere'?
A persone comuni e in primo luogo cattolici praticanti, quelli che frequentano le parrocchie, i movimenti, i Santuari. Ma vogliamo rivolgerci anche a coloro che hanno nostalgia di Dio, della fede che hanno vissuto magari da ragazzi a da cui si sono allontanati. L’età, diciamo, va dai 40 a 60 anni, ma speriamo di allargarci al pubblico giovanile.
Perché proprio un settimanale, non era meno impegnativo un mensile?
Una rivista che vuole essere popolare, con un collegamento alla vita di tutti i giorni, ha più senso con questa cadenza. Il mensile è più per approfondimenti, da mettere via e leggere con calma, quando si ha tempo. Poi la vita cristiana è incentrata sulla domenica. A questo proposito vorrei segnalare che in ogni numero ci saranno otto pagine dedicate al commento del Vangelo del giorno. E nella versione distribuita nell’arcidiocesi di Milano ci saranno i commenti alle letture del rito ambrosiano.
Come settimanale non c’è il rischio che 'Credere' pesti i piedi a 'Famiglia Cristiana'?
Il rischio in parte c’è, però ci sono diversi elementi di distinzione. Credere si occuperà soltanto di religione. Anche le storie e i racconti di vita, a cui sarà dedicata la prima parte del settimanale, saranno sempre incentrati sulla fede. Famiglia Cristiana ha uno spettro di temi molto più ampio.
Altri tratti distintivi?
Sarà un settimanale che segue quello che i cattolici seguono, quindi anche le devozioni, le feste patronali, le processioni, i santi popolari, come Padre Pio, al quale dedicheremo una serie di articoli nei primi numeri. Vorremmo poi, in qualche modo, abbattere gli steccati all’interno del mondo ecclesiale: fare circolare le iniziative e anche i punti di vista dei vari ambienti, dando l’idea di quella che è la sinfonia della Chiesa. Aggiungo poi che gli articoli saranno scritti da credenti per credenti, con un linguaggio che vuole andare al cuore dei lettori.
Ci saranno delle rubriche fisse?
Sì, diverse. Ce ne sarà per esempio una di padre Livio Fanzaga sulla Madonna. Don Gabriele Amorth, che è un nostro confratello paolino, si occuperà invece di demonologia e dei novissimi, ossia le realtà ultime: paradiso, purgatorio e inferno.
La redazione com’è composta?
Io sono il direttore, Saverio Gaeta il vicedirettore, Gerolamo Fazzini il caporedattore, don Stefano Stimamiglio il vice-caporedattore. Poi due redattori, Laura Bellomi e Paolo Rappellino, un art director , Luca Pitoni, e una consulente per il photo editing , una delle migliori in Italia, Giovanna Calvenzi.
A quante copie pensate di arrivare?
Il primo numero avrà una diffusione di circa 300mila copie, al prezzo di 1 euro per i primi numeri, poi di 1 euro e mezzo. Per andare bene dovremo arrivare a una vendita regolare di 100mila copie. Puntiamo sulle edicole ma anche sul circuito delle parrocchie, già servito dai periodici San Paolo. Inizieremo anche una forte campagna abbonamenti, perché gli abbonati sono lo zoccolo duro delle vendite anche degli altri periodici.
Perché investire sulla carta, quando tanti se ne stanno allontanando, visti i costi della stampa e della distribuzione?
Nei focus group che abbiamo fatto mentre sviluppavamo il progetto, è emerso che molti, anche giovani, restano legati al prodotto cartaceo perché lo sentono come proprio. Mentre i mezzi digitali, anche se molto comodi, hanno un effetto che è giudicato 'spersonalizzante'. Noi vorremmo alimentare un senso di partecipazione e ci è sembrato che la carta avesse ancora molte potenzialità da questo punto di vista.
Per l’editoria è un momento terribile, ci vuole ottimismo per lanciare un periodico adesso.
La sfida è molto impegnativa. Cerchiamo di imitare don Alberione: buttandoci nell’impresa, con un po’ di azzardo.