Eccellenza, prima di allora come comunicava la Chiesa milanese?
Esisteva un ufficio stampa, ma più che curare i rapporti con gli strumenti di informazione, si occupava delle produzioni diocesane interne. Con l’arrivo del cardinale Martini il problema della comunicazione emerse come esigenza sentita da tutto il clero ed espressa in due sedute del Consiglio presbiterale diocesano.
Perché parla di problema?
Si trattava di mettere ordine e di stabilire collaborazione tra i diversi strumenti di comunicazione esistenti: carta stampata, radio, sale della comunità. Il passo era difficoltoso, per questo si decise che tutti i responsabili dessero le dimissioni per permettere all’arcivescovo di operare un nuovo riassetto.
Lei fino ad allora aveva guidato le sale della comunità...
E infatti mi dimisi. Ma subito fui chiamato a studiare il riassetto del comparto comunicazione. Non fu cosa semplice, come ogni cambiamento che scuote le tradizioni. Ci vollero mesi e proposte diverse, fino a quando il cardinale prese la decisione di costituire l’Ufficio e di affidarlo a me.
Quale fu il primo passo?
Organizzare il lavoro dei vari strumenti di comunicazione diocesani in modo unitario, complementare e ordinato, per comprendere meglio il cammino della Chiesa ambrosiana. Così facendo i programmi pastorali iniziavano ad assumere una dimensione che andava ben oltre i confini diocesani. Nello stesso tempo, le iniziative ecclesiali riuscivano a mostrare una struttura comunitaria più significativa.
E il rapporto con i media laici?
Facemmo un grande sforzo per aprirci a tutti i media milanesi e nazionali, anche se gli strumenti non erano certo quelli di oggi. Con il passare del tempo, la rispondenza ottenuta divenne molto maggiore rispetto a quanto si pensasse. Il dialogo era aperto e leale con tutti, pur nel rispetto delle reciproche posizioni. A volte non semplice, ma in ogni caso molto vivo.
La Chiesa italiana come guardava questa prima esperienza diocesana?
Monsignor Francesco Ceriotti, allora direttore dell’Ufficio comunicazioni sociali della Cei, mi invitava spesso ai convegni sul tema. Voleva che portassi la mia testimonianza come esempio concreto di quanto auspicato dalla Communio et progressio, l’istruzione pastorale vaticana del 1971 che fu tra i frutti del Concilio. Un testo allora poco seguito.
Nel frattempo, si trattava anche di coordinare i rapporti tra Martini e la stampa...
L’arcivescovo, con le sue capacità pastorali, intellettuali ed ecclesiali, si affermava sempre di più sulla scena internazionale. Di conseguenza, gli organi di informazione volevano raggiungerlo in modo sempre più frequente. Il cardinale esigeva che la sua persona e i suoi interventi fossero legati al cammino pastorale della Chiesa che gli era affidata.
Rispondeva sempre alle domande?
Sì, ma se un quesito non lo convinceva scuoteva la testa aprendo e chiudendo più volte la mano destra, quasi a denunciare la pochezza di quanto richiestogli e a richiedere che fosse provocato sui problemi seri della vita, della società, dell’etica, della politica. Di fronte a questi interrogativi mai si tirava indietro. E i giornalisti che sapevano andare oltre la curiosità spesso portavano a casa un’intervista di peso.
Quale fu la portata pastorale del nuovo ufficio?
Penso che la si possa scorgere bene ora, dopo trent’anni di attività. L’Ufficio per le comunicazioni sociali è diventato per la diocesi uno snodo vitale, insostituibile. E ciò perché aiuta la Chiesa a scendere nei crocicchi delle strade e ad annunciare la gioia del Vangelo.
In queste parole risuona il messaggio di papa Francesco...
Sostanzialmente sì, al di là del modo di esprimersi dell’una piuttosto che dell’altra personalità. Martini sapeva bene che è la gente che accoglie il Vangelo, e questa gente abita le periferie. Per questo, in un libretto dedicato ai vescovi, il cardinale li esortava a coltivare il contatto con i media. A non aver paura delle spruzzate che inevitabilmente riceve chi si avventura nell’oceano della comunicazione, sapendo però dirigere lo scafo verso il porto. Chi fosse riuscito a farlo avrebbe creato con il popolo un rapporto personale. Quello che ora ci mostra quotidianamente Francesco, e che noi già allora tentammo di costruire.
Per lei quest’esperienza si concluse nel 1991.
Con grande sensibilità e gentilezza, il cardinale venne incontro al mio desiderio di tornare alla vita pastorale ordinaria, a tempo pieno in mezzo alla gente. Così, mi propose la parrocchia di Lecco.
Qual è oggi il suo bilancio di quegli anni?
Un periodo del tutto straordinario e incancellabile. Ho conosciuto un mondo complesso e saldato amicizie durature. Ma soprattutto ho avuto la fortuna di poter leggere nel cuore e nella vita di un grande uomo e di un grande cristiano. Questa però è una storia del tutto personale...