UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Cultura: se il digitale non basta…

La Fiera del Libro di Torino celebra il quarto di secolo proponendo il tema della «primavera digitale»: argomento obbligato anche per il mondo dell’editoria e della cultura. Vi proponiamo, dalle pagine culturali di Avvenire, la riflessione di Marco Bonatti.
11 Maggio 2012
La Fiera del Libro di Torino celebra il quarto di secolo proponendo il tema della «primavera digitale»: argomento obbligato anche per il mondo dell’editoria e della cultura, rivoluzionate come non mai dai tempi di Gutenberg. E comunque il digitale è la speranza e il futuro, visto che gli indici di lettura in Italia continuano a calare: il 45,3% dichiarava di leggere un libro all’anno nel 2011, contro il 46,8 dell’anno precedente. E anche i lettori «forti» (quelli da almeno un libro al mese) sono scesi dal 15,1 al 13,8%. Tra i ragazzi si legge molto fino a 14 anni (65,4%) poi il tasso cala rapidamente (53% fino ai 24 anni). Come in molti altri campi, gli indici italiani sono sensibilmente più bassi della media europea, e anche questo non è un dato incoraggiante, visto che la lettura continua ad essere il «collante» di altri indicatori forti: chi legge ha maggiore coscienza culturale e civile; chi legge, in genere, ha anche maggiori disponibilità economiche degli «analfabeti di ritorno» (che stanno crescendo).
Anche per quanto riguarda l’editoria elettronica le cose non vanno molto meglio. Da un anno all’altro si profetizza il trionfo dell’«e-book», ma poi il boom viene rimandato alla stagione successiva. Peraltro la «primavera digitale» è un fatto, e una realtà in piena crescita, dai telefoni intelligenti ai tablet. Nel recente censimento 8 milioni 247 mila questionari sono stati consegnati via web – un terzo dei distribuiti. Allora però forse è lecito chiedersi quale relazione c’è fra l’accesso generalizzato alla Rete e le nostre condizioni di vita. In altri termini: non sta forse accadendo che il mondo digitale diventi anche – poco o tanto – il «sostituto» di quei consumi e soprattutto di quegli investimenti culturali che non possiamo più permetterci? I film si guardano e si scaricano da casa o dal wi-fi a banda larga. Senza pagare il biglietto.
Ugualmente per la musica, con tutte le complicazioni dei diritti d’autore. In famiglia non si compra più l’enciclopedia (la mitica «Conoscere»…) e si consulta Wikipedia: che però, appunto, non è la stessa cosa. La diffusione e la facilità di accesso sono le condizioni e le caratteristiche di una «qualità» in ogni senso più bassa. Non si vorrebbe che la primavera digitale servisse a mascherare un «autunno sociale» che, a Torino più che altrove, incombe in termini di disoccupazione.
Anche per questi motivi bisognerebbe aiutarsi a distinguere fra il «servizio strumentale» che la Rete e il digitale rendono alla modernità e quella «qualità della vita» che non si può ridurre all’accesso e non si conclude nella connessione universale dei social network. Soprattutto per quanto riguarda la formazione delle persone (dei cittadini!) essere connessi non è sufficiente; e l’«eccellenza» delle scuole non dipende in modo esclusivo dalla Rete. Anche per questo la Chiesa italiana, che pure vuole essere presente e visibile in questo mondo, parla di «testimoni digitali», sottolineando un «tipo di connessione» fra persone e realtà virtuale che va ben oltre l’orizzonte del consumo. C’è una libertà che non si esaurisce nei Twitter. I giorni della Fiera del Libro sono anche quelli in cui la Chiesa celebra la Giornata delle comunicazioni sociali, l’unica voluta dal Vaticano II. E Benedetto XVI ha proposto quest’anno una provocazione maiuscola: il silenzio. «Là dove i messaggi e l’informazione sono abbondanti – scrive il Papa – il silenzio diventa essenziale per discernere ciò che è importante da ciò che è inutile o accessorio».