La dolorosa vicenda di monsignor Taddeo Ma Daqin – il vescovo ausiliare di Shanghai che si è visto “revocare” la nomina da Pechino, come punizione per essersi pubblicamente staccato dall’Associazione patriottica dei cattolici cinesi – non pare scaldare gli animi di tanti attivisti nostrani, pronti a muoversi per le più diverse cause di diritti negati nel mondo. Non sono bastati gli oltre cinque mesi di arresti domiciliari passati dal presule cinese nel seminario di Shashan a farne un “personaggio” tale da essere adottato dall’opinione pubblica internazionale. Il che la dice lunga dello strabismo dei mass media occidentali. Ma il guaio è che – seppur con alcune lodevoli eccezioni – persino sui media d’ispirazione cattolica si rischia di considerare la vicenda del vescovo. Ma come l’ennesimo “incidente” nei già tesi rapporti fra Pechino e il Vaticano. Le cose non stanno affatto così. Intanto perché quanto accaduto in questi giorni è di una gravità inaudita. Giovedì scorso è dovuto scendere in campo il “numero due” di Propaganda Fide per spiegare a chiare lettere che il provvedimento adottato dal governo cinese è «sotto il profilo ecclesiale, privo di qualsiasi valore giuridico » e che, proprio perché «dimentica » che la sola autorità in materia di nomina episcopale è il Papa, esso «crea inutilmente una divisione nel Paese».
Il dispiacere maggiore, però, è nel constatare che pochi conoscono la splendida lezione di fede, tenacia e coraggio che monsignor Ma sta offrendo al mondo intero. Se oggi tace il blog al quale per mesi il vescovo ha affidato brevi pensieri (il presule sa benissimo che un passo falso potrebbe costargli caro), non si è spenta la sua voglia di condividere l’esperienza di fede nella prova che lo vede protagonista. Ogni giorno, infatti – come scrive MissiOn-Line.org – monsignor Ma pubblica preghiere, riflessioni e passi del Vangelo su un sito cinese di microblogging affine a Twitter. E oltre diecimila persone lo seguono, per via telematica, esprimendogli solidarietà e vicinanza.
Ebbene, dall’inusuale pulpito di un social network (ma è ancora così, oggi che anche Benedetto XVI lo ha scelto come “nuovo aeropago”?), il giorno in cui si è diffusa la notizia della “revoca governativa” della nomina episcopale monsignor Ma ha diffuso un pensiero a dir poco sorprendente («L’amore di Dio è come l’amore sincero di un padre, la tenerezza di una madre, il dolce sentimento di uno sposo verso la sposa»), corredandolo con la citazione di un noto passo di Isaia: «Quand’anche i monti s’allontanassero e i colli fossero rimossi, l’amor mio non s’allontanerà da te».
Qualche giorno prima, riallacciandosi al «Beati i perseguitati dalla giustizia perché di essi è il regno dei cieli», il vescovo cinese aveva alzato il suo grido, dando voce al sentimento di profonda amarezza e sconcerto per la propria condizione: «Signore, alcune persone sono perseguitate e condannate non perché hanno commesso un crimine, ma al contrario, perché hanno perseguito la giustizia, l’onestà e agito secondo la propria coscienza. Questa è la sorte di chi non è stato alle regole del gioco». Di fronte a una testimonianza così alta di fedeltà al Papa e alla Chiesa, di amore “a caro prezzo” per il Vangelo, abbiamo il dovere – se autenticamente cattolici – di accogliere l’appello di monsignor Savio Hon di Propaganda Fide a unirci in preghiera per il vescovo ausiliare di Shanghai, tuttora agli arresti domiciliari. E di ringraziare monsignor Taddeo Ma Daqin per la sua esemplare perseveranza. Un tesoro prezioso, ancor più in quest’Anno della fede.
Gerolamo Fazzini