UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Desiderio degli altri, nostalgia dell'Altro

Forse gli adulti stanno cominciando a comprendere che il desiderio che muove la presenza massiccia dei giovani in rete non è quello di fuga ma di una prossimità ormai sempre più difficile e in una forma non pervertita. Ecco la riflessione scritta per Avvenire da Chiara Giaccardi.
23 Luglio 2012
Il Novecento è anche conosciuto come il secolo della 'morte di Dio': che significa fine dell’evidenza sociale della religione e, più radicalmente, negazione della trascendenza come ostacolo alla libertà dell’uomo.
In un illuminante saggio del 2009, La morte del prossimo, lo psicanalista Luigi Zoja riconosce che, lungi dall’aver prodotto libertà, la cultura contemporanea secolarizzata è all’origine di una doppia perdita: «Dopo la morte di Dio, la morte del prossimo è la scomparsa della seconda relazione fondamentale dell’uomo». Venendo meno, in nome di una libertà che si vuole assoluta, il senso della 'figliolanza', anche il senso della fraternità decade. In nome di un’assolutizzazione dell’autonomia, che svaluta il legame, la gratitudine, l’interdipendenza, e di un malinteso senso di individualità (dato che 'individuo' significa originariamente 'indiviso', e non 'separato dagli altri').
L’io assoluto genera una distanza tra sé e l’altro; uno 'schermo' protettivo che porta a vedere l’altro come un ostacolo o uno strumento alla propria autorealizzazione; una perdita di prossimità, che è anche, come giustamente suggerisce Zoja, una perdita di com-passione cui si accompagna uno svuotamento dell’etica. Il contatto fisico con l’altro è infatti una delle condizioni dell’etica, dato che «il senso etico naturale può corrispondere a una percezione addirittura tattile di bene o male fatto a un vicino, la cui gioia o sofferenza si avverte immediatamente» (p. 21).
Avvertendo grazie al contatto il timore, l’affidamento, la tensione, la rigidità, il ritrarsi dell’altro possiamo riuscire a capire come agire bene nei suoi confronti: è una prassi comune e un criterio tacito che ogni genitore, per esempio, esercita quotidianamente coi propri figli.
E proprio da loro oggi ci ritorna, attraverso l’esplosione dei social network, un bisogno di prossimità. Bisogno reso evidente dalla svolta sociale del web 2.0 e dall’enfasi, anche lessicale, sulla dimensione della relazione (i contatti, gli amici) che, per quanto ingenua e a rischio di superficialità, è certamente significativa. Ma, soprattutto, dai modi di 'abitare' il web: come le ricerche empiriche testimoniano, le pratiche digitali sono prevalentemente orientate alla relazione, all’essere­con piuttosto che al puro esserci, e soprattutto all’attraversamento continuo della soglia tra reale e virtuale, anzi – dato che di due territori molto reali si tratta – tra materiale e digitale.
Dal modello second life, una doppia vita artificiale, si è passati al 'libro dei volti', quanto di più personale possiamo condividere. Nella consapevolezza, molto chiara per i giovani, che l’incontro in presenza è insostituibile, anche se il web è ormai irrinunciabile per ritrovare, mantenere, allargare le cerchie di persone con le quali si può sperare in un rapporto di reale prossimità. Il web riduce infatti le distanze, rende vicini i lontani. Ma il prossimo «è una cosa molto semplice: la persona che vedi, senti, puoi toccare (...). Non un prossimo astratto, ma il tuo prossimo: quello che ti sta vicino, su cui puoi posare la mano» (p. 3). Forse gli adulti stanno cominciando a comprendere che il desiderio che muove la presenza massiccia dei giovani in rete non è quello di fuga, o di costruzione di una maschera perfetta dietro cui nascondersi, ma di una prossimità ormai sempre più difficile (per la diffidenza verso l’altro) e in una forma non pervertita (non rivolta solo al corpo oggettificato, ma alla totalità della persona). Un bisogno autentico, che va colto, accompagnato, educato perché possa esprimersi in tutta la sua bellezza. E rispetto al quale lo schermo del computer, o dello smart phone, è meno pericoloso di quello dell’io. Ma probabilmente c’è anche di più: ribaltando il percorso che ci ha portato fin qui, in questo desiderio di prossimo potrebbe dimorare, inespresso, un rinnovato desiderio di Dio. Un Dio padre, un Dio vicino alle nostre vite. Un Dio che, in sintonia con la richiesta così umana di Tommaso, vorremmo poter vedere e toccare. Per essere toccati a nostra volta, dato che il tatto è, più di ogni altro, il senso della reciprocità.
A partire dal bisogno di prossimità si può allora prestare attenzione, e dare spazio, a quella «scintilla di assoluto» che si sprigiona sempre nel desiderio autentico di relazione, liberandolo dall’ingenua fiducia nella «comunione tecnologica»; e, in più, nella consapevolezza che anche l’esperienza nello spazio digitale può contribuire alla realizzazione di quella che Romano Guardini, con un’espressione felicissima che per me è sinonimo di cattolicità, definiva la «libera pienezza della totalità cristiana».
 
Chiara Giaccardi