UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Dino Boffo direttore di TV 2000

Torna il «direttore galantuomo», tor­na Dino Boffo. Ieri il Consiglio di amministrazione di Rete Blu Spa, lo ha infatti nominato direttore di rete e di palinsesto di Tv 2000, il canale promosso dalla Conferenza Episcopale Italiana.
19 Ottobre 2010
Torna il «direttore galantuomo», tor­na Dino Boffo. Ieri il Consiglio di amministrazione di Rete Blu Spa, lo ha infatti nominato direttore di rete e di palinsesto di Tv 2000, il canale promosso dalla Conferenza episcopale italiana. No­mina nella quale si formulano «auguri sin­ceri di un fecondo lavoro, nella certezza della competenza e della rettitudine della persona». «Una scel­ta coraggiosa e lungi­mirante » commenta­no la redazione e il C­dr di Tv 2000 sottolineando anche l’importanza della scelta nel deli­cato passaggio dell’e­mittente al digitale terrestre. Una sfida sulla quale Boffo ave­va molto puntato. Per lui, infatti, si tratta di un 'ritorno' negli stu­di di via Aurelia dove ha guidato per undici anni la testata gior­nalistica – oggi diretta da Stefano De Mar­tis –, assieme a quella di RadioinBlu. Era il 1998 e già da quattro anni dirigeva Avvenire (del quale era diventato vicedirettore nel 1991). Esperienze drammaticamente in­terrotte il 3 settembre 2009, con la decisio­ne di dimettersi da tutte le testate dopo la terribile, e falsa, campagna mediatica lan­ciata dal Giornale di Vittorio Feltri. Dimis­sioni che, come ha scritto lo scorso 29 a­gosto il nostro direttore e suo successore, Marco Tarquinio, «sono state la protesta di chi ha subito la diffamazione, non certo il successo di chi l’ha sviluppata». Proprio Boffo nella sua lettera di tredici mesi fa scri­veva: «In questo gesto, in sé mitissimo è compreso un grido alto, non importa quanto squassante, di ribellione: ora ba­sta. (...) Bisognerebbe che noi giornalisti ci dessimo un po’ meno arie e imparassimo a essere un po’ più veri secondo una misura meno meschina dell’umano». Era l’inse­gnamento che ci lasciava quello che in pri­ma pagina definimmo «direttore galan­tuomo ». Su di lui il fango calò il 28 agosto con una pagina nella quale il direttore del Giornale diceva di voler «smascherare i mo­ralisti » prendendose­la col collega di Avve­nire «in prima fila nel­la campagna di stam­pa contro Berlusco­ni ». Boffo gli replicò il giorno dopo definen­do le 'rivelazioni' di Feltri una «patacca»: Costruita su una vec­chia querelle giudi­ziaria conclusa con un’ammenda alla quale era stato incol­lato un falso patente, una lettera anonima spacciata per parte di un fascicolo giudi­ziario nella quale lo si accusava di essere u­no sfascia-famiglie. Un’operazione, disse Boffo, di autentico «killeraggio giornalisti­co ». Il presidente della Cei, cardinale Ba­gnasco, non esitò a definire quello del Gior­nale un «attacco disgustoso e molto gra­ve », rinnovando a Boffo «tutta la stima mia personale e quella di tutti i vescovi italiani e delle comunità cristiane». Ma Feltri pro­seguì per giorni e giorni, secondo il suo 'sti­le'.
Non bastarono la tempestiva verifica del gip di Terni («non c’è assolutamente alcu­na nota che riguardi inclinazioni sessuali» nel fascicolo giudiziario), né i chiarimenti del ministro dell’Interno, Roberto Maroni. La verità emerse ancor più netta il 3 set­tembre, quando Avvenire smascherò in modo definitivo le «dieci falsità» con una ricostruzione tuttora reperibile su www.av­venire.it. Solo molto più tardi, 99 giorni dopo aver lanciato le accuse, Feltri ingranò definiti­vamente la retromarcia, esprimendo a Boffo persino «ammirazione». «La rico­struzione dei fatti descritti nella nota, og­gi posso dire – le sue parole il 4 dicembre 2009 – non corrisponde al contenuto degli atti processuali». Il che non gli ha fatto e­vitare il 26 marzo la sospensione di sei me­si, comminata dall’Ordine dei giornalisti lombardo per aver pubblicato notizie fal­se e, quindi, «violato non solo la dignità e l’onore del collega Boffo, ma anche com­promesso il rapporto di fiducia tra stampa e lettori». Ora la questione è all’esame del­l’Ordine nazionale.