UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

E' l'autenticità del messaggio
a rendere vitale
la comunicazione

C’ è un piccolo segno dei tempi che, tra una concitazione e l’altra, può essere sfuggito, ma che forse merita di non passare inosservato. Riguarda la battaglia intorno agli assetti televisivi...
16 Giugno 2011
C’ è un piccolo segno dei tempi che, tra una concitazione e l’altra, può essere sfuggito, ma che forse merita di non passare inosservato. Riguarda la battaglia intorno agli assetti televisivi.

L’uscita dalla Rai di Michele Santoro l’ha resa più furibonda che mai. Un film o, se si preferisce, un programma già visto, e più volte mandato in onda. Ma il fatto nuovo, tuttavia, non è mancato perché, come in una sorta di legge del contrappasso, al rumore dei ferri nelle stanze del potere, ha fatto riscontro, da un altro versante, un virtuale ma sempre più convinto ripudio del mezzo, considerato un arnese ormai datato e quasi alla stregua di un semplice elemento di arredamento. Trattata e maltrattata come una signora fuori dal tempo, la televisione è sembrata mandare in onda soltanto le sue rughe, proprio mentre la piazza sbandierava i vessilli del tempo nuovo della comunicazione.
L’assalto è apparso impietoso: ai social network, e a tutto l’agguerrito apparato delle nuove tecnologie, non è andato di recitare la parte di bravi e rispettosi nipotini, smaniosi com’erano di interpretare, invece, quella di protagonisti, magari anche un po’ arroganti, di un vero e proprio cambio d’epoca.
La mutazione non è certo opera di questi giorni, ma se occorreva un’ultima e definitiva notifica, ecco la campagna e il quorum dei referendum a sancire anche questo effetto, forse non proprio secondario. È stata la vittoria del popolo di Internet, il trionfo dei social-network, l’affermazione della rete, si è proclamato a gran voce da più parti. Da questa esultanza la televisione è stata messa all’angolo, quasi lasciata da sola a combattere, in altre stanze, la sua battaglia di retroguardia. All’onda lunga dell’irresistibile avanzata del web e dintorni – dalle rivolte nel Maghreb, alle drammatiche testimonianze in Siria – la vecchia tv è sembrata non poter opporre altro che una progressiva ritirata dal campo: nel mentre, in suo nome, la politica sbraitando e azzuffandosi, continuava a invadere campi, come ha sempre fatto (anche se con il nuovo vertice operativo della Rai, la prospettiva di un sussulto di dignità appare certamente più fondata).
Al centro di furiose lotte da una parte, quasi emarginata dall’altra, alla televisione è toccato così di trovarsi nel mezzo di questa forma di paradossale contraddizione, dalla quale però emerge un fatto sostanziale. Tra il vecchio e il nuovo, come in un pendolo di Foucault, nel mondo della comunicazione oscilla e lascia il segno il tempo dell’innovazione. Ma l’elemento decisivo di attrazione continua a essere un altro: quello di sempre, la forza e l’autenticità del messaggio, ciò che realmente si ha da dire. Se sono cambiati i veicoli, non sono mutati, o venuti meno, gli elementi essenziali della comunicazione.
Anche di fronte all’esito dei referendum, dire che ha vinto la rete e ha perso la tv, è un modo sbrigativo per trattare un problema certo più complesso e che richiama, nella circostanza, un interrogativo: la vera o presunta vecchiaia della tv non lascia forse intravvedere, seppure sul lungo periodo, la giovinezza destinata a sfiorire di strumenti oggi ritenuti portentosi e domani trasformati in oggetti da ricordo? La vitalità della comunicazione è forse proprio in questi radicali e turbinosi passaggi di consegne: alla fine, un modo per assicurare una loro eterna giovinezza. Ma sempre a patto che oltre al motore ci si prenda cura dell’anima. Neppure la comunicazione può essere, alla fine, un corpo monco.