Questione di pochi mesi e l’Italia si ritroverà ad essere meno pluralista e democratica. Senza un’inversione di tendenza, la scure del governo sui fondi per l’editoria cooperativa, non profit e di partito – dai 415 milioni del 2008 agli 80 reali del 2011, metà del fabbisogno minimo – porterà alla chiusura di 100 testate, la perdita di 4mila posti, la scomparsa di 400 mila copie. Il sottosegretario Paolo Bonaiuti propone «non una riforma, perché non ce n’è il tempo, ma una piccola rivoluzione in tempi brevi», un disegno di legge condiviso per uscire dalla palude». La Fieg apprezza. La Fnsi un po’ meno: «Non serve una road map per il futuro anche prossimo, qui si tratta di risolvere i problemi dell’oggi, anzi di ieri. Il tempo sembra inesorabilmente scaduto». All’assemblea dell’editoria cooperativa, non profit e di partito, è il presidente di Mediacoop Lelio Grassucci a dare le misure del disastro. Per le testate ma anche - e forse di più - per l’informazione e la cultura del Paese. «Le risorse per il 2012 ammontano a 154 milioni – spiega – di cui 50 per il debito con le poste italiane, 40 per la convenzione con la Rai e altri per coprire altre spese. Restano 80 milioni, contro un fabbisogno di 170. E non è certo che gli 80 non siano tagliati nell’ultima manovra». Tre le richieste di Mediacoop: nella legge di stabilità di ottobre stanziare 40 milioni equiparando l’Iva sui gadget in edicola, oggi al 4%, a quella per gli stessi articoli al di fuori delle edicole, al 21%; calcolare la convenzione con la Rai su un capitolo diverso; parametrare i contributi sul numero dei dipendenti. Il documento dell’assemblea ribadisce che «la logica del mercato non garantisce un’informazione libera, autonoma e pluralista», perché «porta tendenzialmente al monopolio e all’omologazione ». La prova è l’allocazione delle risorse pubblicitaria: «Il 56% all’emittenza, a beneficio pressoché totale di Rai-Mediaset e solo il 36% alla carta stampata, in gran parte ai grandi gruppi editoriali». La ghigliottina colpirà «testate locali che raccontano la vita delle comunità » come «testate nazionali, anche di grande valore culturale», cancellando «la presenza e la voce di forze sociali rilevanti e orientamenti politici e culturali». Ma i danni saranno anche materiali: «si brucerà un giro di affari che sfiora il mezzo miliardo di euro che ricadrà sull’indotto». Senza contare l’esborso per lo Stato «in termini di ammortizzatori sociali, pari se non superiore al rifinanziamento del fondo». Pesano sulla percezione dell’opinione pubblica i fondi sperperati per testate fantasma, vedi il caso Lavitola: «Sia anche l’occasione – si chiede – per introdurre come già chiesto ulteriori norme di rigore».
Concorda Francesco Zanotti, presidente della Federazione dei settimanali cattolici (Fisc), 189 testate per lo più diocesane, 79 siti, un milione di copie settimanali: «Già ad aprile a Palazzo Chigi dicemmo che era ora di finirla coi contributi a chi non ne ha diritto. Ora rischiamo il bavaglio ai territori, a un Paese che c’è, vive e fatica ma non trova spazio sulle testate nazionali». Il parlamentare Giuseppe Giulietti propone un ddl ad hoc: «Basterebbero due giorni». Il sottosegretario conviene sul rischio di «gettare il bambino con l’acqua sporca». Dice che «la crisi impone risparmi», ma concorda sui contributi per copie vendute e dipendenti, contro le testate fantasma: «Già martedì vediamoci per discutere una bozza entro 45 giorni».