Il più pessimista è il presidente di Rcs Mediagroup, Pier Gaetano Marchetti: «D’accordo, c’è un bel 72 per cento degli intervistati che chiede al giornalismo di non operare discriminazioni – constata –. Non vorrà dire che per gli altri le discriminazioni non contano, spero…». Obiezione paradossale, si capisce, ma ragionare di etica e giornalismo non è mai scontato. E così l’indagine sul 'Futuro della professione', condotta da AstroRicerche per conto dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia e presentata ieri all’Università statale di Milano, si è rivelata un’occasione per cercare il difficile punto di equilibrio fra domanda e offerta in materia di etica applicata all’informazione.
Risultati non entusiasmanti, con qualche punta di sconforto quando si scopre che l’unico mezzo di comunicazione a raggiungere la piena sufficienza “etica” è Internet, ossia l’ambiente mediale in cui le notizie sono più spesso sottoposte a fantasmagorici travisamenti. Lo ammette, tra gli intervenuti al dibattito – introdotto dal presidente dell’Ordine lombardo, Letizia Gonzales, e moderato da Walter Passerini –, perfino un entusiasta del web come Luca Telese del «Fatto Quotidiano».
Sentiamolo: «Per noi la rete è uno strumento di democrazia, però se cerchi “Marx” su Google ti imbatti in migliaia di link su oscure teorie complottiste, che ripetono acriticamente le tesi di un solo libro, altrettanto oscuro». Ma veniamo all’indagine. Il presidente di AstroRicerche, Enrico Finzi, illustra anzitutto il campione di riferimento. I campioni, anzi. Da una parte infatti ci sono 1.035 italiani tra i 15 e i 70 anni, in rappresentanza di oltre 43 milioni di potenziali lettori, ascoltatori, spettatori e internauti.
Dall’altra, 1.085 giornalisti di Veneto e Lombardia. A tutti è stato chiesto di indicare sia le aspettative in tema su etica e giornalismo, sia l’effettiva soddisfazione (o, meglio, la soddisfazione effettivamente percepita) di questi stessi requisiti. Il primo dei quali coincide con l’evitare di fornire notizie false o inesatte: qualcosa di irrinunciabile per l’82,6% dei lettori, il 98,2% dei giornalisti lombardi e il 99,6% dei colleghi veneti. Nella pratica, invece, solo il 61% degli italiani pensa che questa regola venga rispettata. Lo schema si ripete per le altre domande del questionario, portando a una bocciatura clamorosa: il 53,7% dei cittadini è convinto che il giornalismo nostrano non sia abbastanza etico. Quanto ai professionisti, in Lombardia lo scontento sale all’84,6% e in Veneto si assesta all’81,4%.
Non si salva nessuno, insomma? Il direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, invita a evitare le semplificazioni: «Informare secondo coscienza è possibile, anche se ha un costo – rivendica –. Come quello di apparire fuori dal coro. L’altro giorno, quando ci siamo ritrovati da soli a dedicare la prima pagina alla tragedia di Barletta, qualcuno avrà pensato che fossimo eccentrici. Ma sono bastate poche ore per fare giustizia: lo spettacolo della cronaca passa, i problemi del Paese reale restano ed è nostro dovere raccontarli, magari lasciandoci distrarre un po’ di meno dai siti Internet e riservando un po’ più di attenzione ai siti fisici dove si combatte contro la mafia e il malaffare».
Una posizione elogiata dal presidente della Federazione nazionale della stampa, Roberto Natale, e condivisa da Roberto Napoletano, da qualche mese alla guida del Sole 24 Ore, sia pure in una diversa prospettiva: «In tempi di crisi – afferma Napoletano – un giornale economico deve avere il coraggio di parlare chiaro, spiegando in modo addirittura didascalico i meccanismi di una finanza che appare lontana, ma riguarda tutti noi».
Il problema non tocca esclusivamente editori e giornalisti. Anche il mondo della pubblicità (ben rappresentato nel dibattito da Annamaria Testa) e quello ancora più variegato della comunicazione (al quale ha dato voce Massimo Tafi, presidente di Mediatyche) soffrono di una mancanza di credibilità che chiede di essere risolta sul piano dell’etica. Sapendo che in questo caso, purtroppo, non basta la parola.