UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Eugeni: valorizziamo il buono
del Web 2.0

Il semiologo dell’Università Cattolica, prof. Ruggero Eugeni, risponde ad Avvenire: "oggi non si tratta di 'inventare' qualcosa di cristiano ma di effettuare un’opera di discernimento dei valori positivi, cogliere i 'semi del divino' che sono presenti...
6 Giugno 2011
Se il Messaggio del Papa per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali chie­de ai credenti un’accoglienza pronta e sensibile, più difficile è immaginare il riscontro delle sue impe­gnative parole nella cultura digitale. Ruggero Eugeni, do­cente di Semiotica dei media all’Università Cattolica di Milano, è uno dei più acuti cartografi di linguaggi e ten­denze della Web society . E, 'mappe' alla mano, rilegge il testo magisteriale.

 
 
«Verità», «annuncio», «autenticità di vita»: i concetti scel­ti dal Papa non sono i primi che si assocerebbero alla cul­tura digitale. Il Web viaggia davvero su un’altra lunghezza d’onda?
La riflessione del Papa va contro una percezione diffusa ma ingenua, e coglie un nocciolo vero dell’esperienza in Rete già vissuto dai 'nativi digitali'. Come per tutte le nuove tecnologie che incidono capillarmente nella vita quotidiana, il Web è accompa­gnato da grande entusiasmo, un ap­proccio che fa perdere di vista i cri­teri di fondo. Per questo un richia­mo come quello che ispira il mes­saggio del Papa è oggi molto op­portuno. L’immaginario sociale è legato a un’idea delle nuove tecno­logie del tutto 'virtuali' e opposte al 'reale', quindi svincolate dai cri­teri ordinari di verifica. Invece Be­nedetto XVI richiama la stretta connessione tra l’espe­rienza del Web e quelle di reali socialità e di costruzione dell’identità.
 
Chi si richiama a valori forti rischia di essere 'tagliato fuori' da Internet?
Quel che il Papa lancia non è radicalmente nuovo rispetto a quanto circola sul Web: piuttosto mi pare vi sia l’invito a valorizzare e a far sviluppare alcuni spunti già presen­ti in Rete. Quando si legge della necessità di 'essere te­stimoni' non si allude a una presenza estranea ai dina­mismi di Internet ma costante, diffusa, radicata, ferma e insieme rispettosa, che sappia portare a pienezza gli sti­li della Rete senza rigettarli.
 
La cultura digitale è interessata alle identità forti o in­vita al mimetismo?
Per come si è sviluppato il Web 2.0, vedo una tendenza non già al nascondimento ma a un’autopresentazione rapida che poi si riscontra nelle relazioni coltivate su chat, messengers e dispositivi mobile, ovvero i sistemi più usa­ti dai giovani: tutti strumenti che invitano a esporsi e non a nascondersi.
 
Da semiologo, a quali condizioni pensa sia possibile «u­no stile cristiano di presenza anche nel mondo digita­le», come chiede il Papa?
Ripeto: non si tratta di 'inventare' qualcosa di cristiano ma di effettuare un’opera di discernimento di quanto c’è già per cogliere i 'semi del divino' presenti, e capire co­me valorizzarli. Non ha senso detta­re regole, occorre agire per incultu­rare. Penso a chi cerca costante­mente meccanismi di innovazione, a quanti si adoperano per dare a tut­ti diritto di parola, reagendo con prontezza quando questo viene ne­gata, a quelli che offrono consulen­ze gratuite per chi ne ha bisogno, a forme sempre più diffuse e non an­cora censite di volontariato in Rete... Vanno coltivate dall’interno le ten­denze positive che la cultura del Web già presenta, denunciando per con­verso le derive sbagliate, inclusa quella al relativismo as­soluto.
 
Verso dove ci sta portando la cultura digitale?
Credo che, un po’ paradossalmente, ci stia conducendo a riscoprire il nostro corpo, a un rapporto più equilibra­to con le relazioni dirette. In rapporto ai media si parla sempre più di sensazioni, passioni, possibilità di azione. Sono fiducioso: dove c’è apertura, ricerca e disponibilità, il terreno è fertile per seminare una presenza cristiana ef­ficace. Sul Web vale a maggior ragione quel che diceva Paolo VI: più che maestri, occorrono testimoni.