UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Famiglia, antidoto alla “cybersolitudine”

"In un mondo in cui la connessione digitale ininterrotta rischia di scivolare in una cybersolitudine, la famiglia è ancora il luogo in cui sperimentare che la pienezza della relazione intercorporea resta il modello e il fine di ogni altra forma, seppur preziosa, di interazione". Così Chiara Giaccardi su Avvenire, mentre è in corso il VII Incontro mondiale delle famiglie.
1 Giugno 2012
La famiglia oggi è un punto di osservazione prezioso sia per capire i grandi problemi di questo tempo, sia per immaginare una via di uscita dalla crisi, non solo economica, ma più in generale culturale, sociale e politica, in cui siamo immersi. Negli ultimi 20-30 anni il ritornello dominante è stato quello dell’individualismo estremo, illimitato (indisponibile ad accettare qualunque limite alla propria realizzazione) e assoluto (sciolto da qualsiasi vincolo), ma sono ormai evidenti i fallimenti di questo modello e la sua incapacità di realizzare le sue promesse di felicità e benessere. Per uscire dalla crisi, che è prima di tutto una crisi di senso, di giustizia, di umanità e di felicità, occorre oggi saper costruire nuove alleanze. E l’alleanza è la costruzione di uno spazio comune dove potersi scambiare doni.

 
In un tempo di incertezza come questo, la famiglia è un luogo dove elaborare, assieme ad altri, i significati che orientano le nostre scelte e le condizioni per vivere insieme in modo umano perché libero dalle logiche strumentali e contrattuali che dominano ormai ovunque.
La famiglia è uno straordinario luogo di alleanza: tra le generazioni, tra i generi, tra chi è forte e chi è fragile. Ma non può essere data per scontata, o ridotta a una pura categoria sociologica. Né i modelli che abbiamo sotto gli occhi, per lo più fortemente inquinati dall’individualismo imperante, sono gli unici a cui guardare. Infatti, influenzati dalla pedagogia implicita della cultura contemporanea, oggi si è sempre meno disposti ad ascoltare, a dimenticarsi di se stessi, a fare spazio, ad accogliere. Tutti presi dai propri progetti (per lo più a breve termine) e dai propri bisogni si tende a vedere l’altro come un ostacolo (o se va bene come un mezzo) per la propria autorealizzazione. Si è sempre più chiusi alla vita: i figli sono visti prevalentemente in termini di costi e rinunce o, se va bene, come 'diritti' e occasioni di 'esperienza'. Tutto ciò che è vincolo impegnativo (il malato, l’anziano, lo straniero che ci vive accanto) viene rifuggito e visto solo nella prospettiva di quello che ci 'toglie'. Non c’è da stupirsi, allora, che le vite siano ripiegate su se stesse, rattrappite e alla fine asfittiche: senza l’apertura all’esterno, all’imprevisto che mobilita risorse che non sapevamo di avere, all’altro che ci libera dalla prigione di noi stessi, l’ossigeno manca. La famiglia oggi salta anche perché si è individualizzata, si è chiusa a tutto ciò che di spirituale ma anche di relazionale può alimentarla, e così rischia di rimanere un’istituzione-guscio, sfibrata e disseccata. L’Incontro mondiale delle famiglie è quindi un’importante occasione per rigenerare la nostra consapevolezza e progettualità: ripensare la famiglia come un luogo insieme di vincoli e di libertà, all’interno del quale cercare nuove forme di sintesi originale capaci di ridare senso sia al lavoro sia alla festa (che è sempre più diventa una semplice occasione di consumo). Anche il lavoro è in crisi, una crisi di senso prima di tutto. Nella sua accezione originaria include i significati dell’opera, della fatica e dell’impegno (da labor, fatica) assieme alla capacità tipicamente umana di trasformare, orientare, far esistere. Un dinamismo trasformativo, dunque; un fare che non è solo strumentale, ma è anche dotato di senso. Una poiesis
che è anche poesia. La famiglia aiuta a sanare l’alienazione che il lavoro ha subito nella cultura contemporanea: pura funzione, strumento per avere accesso al consumo; in casi più rari, strumento per la propria autoaffermazione e per l’acquisizione di potere personale; sempre più precario e, quindi, sempre meno oggetto di investimento emotivo, di aspettative, di desiderio. In famiglia il lavoro ha certamente una componente strumentale-riproduttiva e anche ripetitiva (basta pensare al ciclo ininterrotto del lavoro domestico!), ma non è riducibile a esse. Anzi, proprio nel lavoro domestico dovere ed espressività, fatica e gioia, impegno individuale e bellezza della condivisione possono trovare spazio e sintesi. Contrastando il luogo comune che la fatica sia solo peso, e che per 'rifarsi' occorra un divertimento solo disimpegnato. La famiglia è un luogo in cui, 'lavorando' per prendersi cura degli altri, ci si educa alla relazione; è il primo ambito in cui si sperimenta la fondamentale condizione antropologica della non autosufficienza, non vissuta però come una condizione di limitazione frustrante, ma come occasione di gioiosa gratitudine. La famiglia è il luogo in cui si sperimenta che «la relazionalità è un elemento essenziale dell’umanità» (Caritas in veritate, n. 55). In un mondo in cui tendono a prevalere sempre più l’individualismo interconnesso e, per i giovani, i fragili legami di rete, e in cui la connessione digitale ininterrotta rischia di scivolare in una cybersolitudine, la famiglia è ancora il luogo in cui sperimentare che la pienezza della relazione intercorporea resta il modello e il fine di ogni altra forma, seppur preziosa, di interazione. Il laboratorio di una alleanza intergenerazionale di cui oggi c’è molto bisogno per ritessere i legami e non rimanere intrappolati nella dittatura del dato di fatto, per la quale il presente non ci offre alcun antidoto.