UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Francesco, una webcam, il mondo

Giovanni D'Alessandro riflette, sulle colonne di Avvenire, sullo straordinario successo dell'iniziativa dei frati di Assisi, che hanno piazzato una webcam sulla tomba del Poverello. In due mesi 18 milioni di contatti da 123 Paesi al sito del Sacro Convento; la maggiore affluenza il 2 e il 3 maggio, quando il Papa si è connesso e ha inviato una preghiera.
11 Luglio 2013
Lo spirito di Assisi dilaga nel mondo. Con le forme d’oggi – telematiche – che Francesco avrebbe praticato. Una webcam ha spalancato il cuore della basilica di Assisi al pianeta, per­mettendo di visualizzare la tomba del santo e producendo un risultato tanto silenzioso quan­to strepitoso: milioni di contatti da ogni parte del mondo, preghiere, suppliche, pensieri, evo­cazioni, invocazioni dagli angoli della Terra più remoti, anche culturalmente, come dal mondo musulmano talvolta. È Assisi stessa ad avvici­narsi in un nanosecondo all’universo mondo; scende dalle balze del Subasio verso l’umanità; quanti sanno che, patria milleduecento anni pri­ma di Francesco, del poeta latino Sesto Proper­zio, era da lui già definita così, «Assisi la discen­dente », a balze, verso il mondo? Oggi le balze so­no informatiche, virtuali: la cingalese dal Liba­no si collega con la basilica; la filippina dal Su­dafrica.

 
Siamo in tempi di neofrancescanesimo. Un pa­pa che, primo nella storia, sceglie di chiamarsi Francesco, senza l’ordo successionis d’essere pri­mo, secondo, terzo, no, così: nudamente Fran­cesco e basta. Un papa che sta stordendo il mon­do, con frasi di santi che non avevano il conto in banca, di globalizzazione dell’indifferenza e al­tro, e che come primo viaggio opta per una ter­ra d’Italia che meno italiana e più internaziona­le non potrebbe essere, Lampedusa; l’ultimo gra­dino dal mondo del disagio, quello che interes­sa a lui; la prima soglia della speranza di rivive­re. E getta la corona di fiori in mare, ai morti fi­niti laggiù, per le esequie ch’essi non vedranno mai ma che saranno le più sontuose del mon­do, officiate dal papa in persona recatosi sulla lo­ro liquida tomba; a veicolare, dalla barca, un’al­tra fortissima metafora, approdare come un mi­grante anche lui a Lampedusa.
È chiamato comunemente il poverello d’Assisi, Francesco, ma non vi era nulla di eremitico in lui. Era povero come regola di vita – anzi era qualcosa in più: era 'spogliato', s’era messo nudo nato cioè davanti alla sua gente, strappandosi di dosso ogni abito, fisico e mentale, che si frapponesse tra lui e il Cristo; ogni infrastruttura che non lo restituisse alla primigenia creaturalità con cui l’aveva fatto venire al mondo l’ altissimu onnipotente bon Signore. Che c’entra la web con questo? C’entra perché Francesco, fatta la sua scelta di nudità, girò il mondo: con contatti al limite della temerarietà come quello col sultano, per parlare di pace, ma anche con gli arroccati e arcigni e nobili potenti del tempo, col papa che lo sognava pilastro della Chiesa e al quale umilmente chiedeva di approvare la sua regola. E chissà cosa penserebbe, oggi, di un papa che ha voluto il suo nome per sé.

 
La web di Assisi ha dislocato un sito per l’anima nell’umanità. Lo ha fatto visivamente via internet. È un momento importante nella cristianità e la capillarità dei milioni di contatti lo dimostra. C’è da chiudere gli occhi e soppesarne gli sviluppi. Perché? Perché vuol dire che forse c’è fame di un ritorno. C’è fame di Cristo. C’è fame di vangelo, di re-cristianizzazione di una società che s’era scristianizzata. I milioni di contatti, i milioni di click sembrano dire questo, che nessun messaggio è più evangelico di quello francescano, nel senso etimologico di eu-anghelion o annuncio di positività, di grazia, di amore del Creatore, di salvezza. Nel suo duro medioevo Francesco fu capace di gridare la gioia della semplicità di vita e della vicinanza al prossimo, come via primaria per praticare l’amore di Dio. La corrente telematico­francescana che s’irradia da Assisi e riconverge su Assisi, a noi deve ispirare una domanda prima d’ogni altra: saremo in grado di fare altrettanto? Di spogliarci anche noi – così informati e ignoranti, così colti e aridi – di ogni schermo che si frappone a Cristo? Molti anni fa un poeta scrisse per sé un epitaffio bellissimo che sintetizzava in tre parole la francescanità; scrisse per la sua tomba, parafrasando Ovidio: quia pauper amavi, perché da povero amai. E fui ricco d’amore. Sapremo essere ricchi noi come Francesco? Cioè tornare poveri e attraversati dall’amore?
 
Giovanni D’Alessandro