UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Giornali, ritorno all'etica

Se i media si riducono a spiare dalle serrature e a inseguire lettere anonime, la prima vittima è il lettore. I giornali vengono meno alla loro missione di servizio, si scagliano l’uno contro l’altro e fanno a gara nell’aggredire il "nemico", ignorando i fatti realmente vicini alla vita dei cittadini. Edoardo Castagna ha intervistato per Avvenire don Giorgio Zucchelli, presidente della FISC, e don Antonio Sciortino, direttore di Famiglia Cristiana. Ecco il loro contributo al dibattito sull'etica nell'informazione.
9 Settembre 2009

Se i media si riducono a spiare dalle serrature e a inseguire lettere anonime, la prima vittima è il lettore. I giornali vengono meno alla loro missione di servizio, si scagliano l’uno contro l’altro e fanno a gara nell’aggredire il "nemico", ignorando i fatti realmente vicini alla vita dei cittadini.
Edoardo Castagna ha intervistato per Avvenire don Giorgio Zucchelli, presidente della FISC, e don Antonio Sciortino, direttore di Famiglia Cristiana.
Ecco il loro contributo al dibattito sull'etica nell'informazione. 

Zucchelli: «Persone attaccate con il metodo dei giacobini»
«Quello che sta capitando alla stampa italiana è la logica conseguenza di uno stile ormai in cam­po da tempo». Giorgio Zucchelli, pre­sidente della Federazione italiana dei settimanali cattolici, nota che i toni e i contenuti delle ultime campagne «mo­strano la concezione della vita, e quin­di del giornale, che si ha alle spalle: conta soltanto vendere, fare
 audience per avere più pubblicità – fare soldi. Nulla a che ve­dere con un’informa­zione al servizio dei cittadini. E l’assurdo è che questo metodo non paga: di fatto, si registra un continuo calo delle vendi­te dei giornali».
 Perché insistere, allora?
 «Occorre ricordare che l’informazione italiana è molto schierata politica­mente, da ben prima dei fatti degli ul­timi mesi. Non abbiamo giornali vera­mente liberi e indipendenti da poteri politici ed economici, al punto che pos­siamo individuare la collocazione po­litica di una persona semplicemente sapendo quale giornale legge. È molto difficile trovare una testata che stia dal­la parte di chi lo legge e non di chi lo guida, e che faccia il suo servizio di cri­tica nell’interesse del bene comune. I giornali fanno lotta politica e, come se non bastasse, di una politica di bassa lega, rimanendo sempre soltanto alla superficie delle cose in attesa di ogni occasione buona per attaccare l’avver­sario – anzi: il nemico. Mai che si ap­profondisca, che si dia al lettore la pos­sibilità di valutare concretamente la tal legge o il tal avvenimento. Perfino la cronaca esalta oltre ogni limiti i fatti di sangue fino all’assurdità di processi tra­scinati in televisione per mesi, sera do- po sera, mentre invece si trascurano tanti altri aspetti della vita del Paese ben più importanti».
 E le ultime campagne scandalistiche sono anche conseguenza di questa im­postazione culturale?
 «Certo. Ma c’è stato di più, un salto, per­ché si è alzato il tiro direttamente sul­le persone. Non è accettabile che la bat­taglia politica nei confronti del presi­dente del Consiglio – piaccia o meno la sua figura e la sua politica – sia fatta per anni prima per via giudiziaria, e poi dal buco della serratura, delegittimando­lo dal punto di vista etico per farlo ca­dere dal punto di vista politico. Lo stes­so è successo con Dino Boffo, attacca­to personalmente e violentemente per minarne il ruolo nell’informazione – e qui purtroppo il gioco ha funzionato. Ma questo è il metodo giacobino».
 Si dice: «Avevo una notizia e dovevo pubblicarla, la gente ha diritto di sa­pere »...
 «Ridicolo. Chiunque conosca i gior­nali sa che i direttori devono cestina­re centinaia di notizie ogni giorno, perché non c’è fisi­camente lo spazio per metterle tutte.
  Vengono sempre fatte scelte, in base alle idee che si han­no, e spesso si sacrifi­cano quelle più im­portanti dal punto di vista sostanziale: quelle, la gente non ha il diritto di sapere? È un atteggia­mento farisaico. Il gioco è facile, quan­do la tal ipotesi buttata lì sul giornale diventa di solito, nella mente di un let­tore, un fatto reale. È vero che il gior­nalista scrive 'potrebbe essere così', ma nella mente del lettore quel condi­zionale diventa un indicativo: 'è così'. Oppure, altro mezzuccio: non si rac­conta – e quindi non si verifica – la no­tizia direttamente, ma la si fa raccon­tare da altri, dal 'testimone' di turno: se è falsa, affari suoi. Ci si copre le spal­le e intanto si getta l’amo, nella consa­pevolezza che tanto la cultura di mas­sa non fa distinguo: tutto si semplifica, tutto diventa vero, tutto diventa falso».
 E questo paga? 
 «Forse, politicamente. Certo Feltri ha aggredito anche per vendere, ma sono cose che funzionano solo sul breve ter­mine. L’esperienza dei settimanali cat­tolici, con il loro milione di copie set­timanali complessive, mostra al con­trario che non è vero che la gente ri­fiuta le testate che scrivono in manie­ra breve, chiara e soprattutto cercando di spiegare veramente i problemi».

Sciortino: «Libertà di critica, essenza della democrazia»
 «Ne verremo fuori se ognuno tornerà a fare bene il proprio mestiere: i giornalisti a fare bene i giornalisti, i politici a fare bene i politi­ci, e tutti al servizio: i giornali, dei lettori; i politici, dei cittadini». Inve­ce, per il direttore di Famiglia cri­stiana Antonio Sciortino, «i ruoli si sono confusi, e tutti sono venuti me­no alla propria missione. La libertà di stampa è un bene prezioso per la de­mocrazia: per que­sto deve interessare tutti, in modo tra­sversale, e va evitata qualsiasi forma di strumentalizzazio­ne. Dove c’è meno opinione libera, c’è meno democrazia».
 E lei crede che oggi in Italia la de­mocrazia corra un reale pericolo?
 «Il livello di democrazia di un Paese si può misurare proprio dal tasso di libertà della stampa e dalla vivacità dell’opinione pubblica: ma oggi in Italia i giornali non sono al servizio dei lettori, ma dei potenti di cui in­vece dovrebbero essere voce critica. Se si arriva a dover fare una manife­stazione pubblica per difendere la libertà di stampa, come quella in programma per il 19, allora io credo che qualche problema in questo set­tore il Paese ce l’ha. Il vizio di fondo è quello della concentrazione dei mezzi di comunicazione in poche mani e dalla quasi totale mancanza di editori puri, che rispondono e­sclusivamente agli interessi dell’informazione. Altro problema se­rio è che in Italia la stampa, invece di essere concorde nella difesa del­le proprie prerogative di libertà, di informazione e di critica, si è frazio­nata e politicizzata, con giornali con­trapposti gli uni agli altri. A me di­spiacerebbe tantissimo se la manifestazione del 19 assumesse colori­ture politiche, come se la stampa at­tribuita all’opposizione scendesse in piazza contro la stampa schiera­ta con il governo. La libertà di infor­mazione e di critica in un Paese de­mocratico non deve essere vista co­me un fastidio, perché la stampa non è fatta per adulare; bisogna che i giornalisti non abbiano bavagli e magari facciano autocritica, chie­dendosi quanto siano in grado di mantenere la schiena diritta e quan­to invece non si prestino a servizi, talora neanche richiesti, a favore del potere».
 Non c’è anche un problema tecni­co, del come si fanno i giornali? Si spia dai buchi della serratura, si brandiscono lettere anonime e fo­to paparazzate…
 «Io richiamo all’etica professionale. Se noi applicassimo sempre quella deontologia che è il fondamento del nostro mestiere, allora eviteremmo di trasformare le parole in proiettili e di usare il potere mediatico che ab­biamo in mano per danneggiare le per­sone e non per ser­vire il Paese».
 C’è stata anche una confusione delle tradizionali diffe­renze di ruoli tra stampa rosa e stam­pa d’informazione?
  « Io credo che oggi abbiamo un eccesso di informazio­ne tale da portare a essere meno informati, con minor approfondi­mento e minor comprensione. Il ruolo del giornalista nel mondo di internet è ancora più importante, perché deve aiutare a capire qual è la realtà e qual è il contesto entro il quale una notizia va inquadrata. Non certo eseguire ordini politici di servizio».
 Non solo invece si conducono bat­taglie politiche, ma queste sono fat­te non sulle idee, ma contro le per­sone...
 «Sì, questa è un’altra anomalia. Ca­pita anche a noi di essere criticati per delle posizioni che prendiamo, però – come è avvenuto anche nel caso di Dino Boffo – non si entra nel merito delle questioni ma si cerca di delegittimare la persona, attaccan­dola pesantemente e lanciando av­vertimenti e intimidazioni. Questa è una vera e propria degenerazione del nostro modo di fare informazio­ne ».

 

 

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