UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

GMCS2020. Il contributo di Alberto Ceresoli

Il direttore de "L'Eco di Bergamo" firma il primo video-contributo raccolto dall'Ufficio per la Giornata delle comunicazioni sociali.
20 Maggio 2020

Quello di “tessere storie è stato il filo conduttore di tutto il lavoro che abbiamo svolto all’Eco di Bergamo dalla fine di febbraio fino ad oggi”. Lo conferma il direttore, Alberto Ceresoli, in una video-riflessione per l’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della Cei, in occasione della Giornata mondiale delle comunicazioni che si celebra domenica 24 maggio.

In tempo di pandemia, ricorda, il quotidiano “ha tessuto le storie delle migliaia e migliaia di bergamaschi che sono morti”, tra i 4.500 e 4.800 solo nel mese di marzo a fronte delle 2000-2200 persone registrate dai dati ufficiali. Lo ha fatto “grazie all'aiuto dei familiari, dei loro cari, dei loro amici, dei loro conoscenti”. Del resto, “L’Eco di Bergamo ha tradizionalmente un legame molto forte con i propri lettori, ma questa tragedia - osserva Ceresoli - ha ulteriormente rafforzato questo legame con il territorio, con la nostra terra”.

“I bergamaschi ci hanno trattato come un loro confidente”, rivela il direttore sottolineando che “tutti i giorni, per moltissimi giorni, da marzo ad oggi, ci hanno scritto quotidianamente decine, decine e decine di lettere, di messaggi e di email, ci hanno mandato dei video raccontandoci il dolore e la sofferenza, i ricordi del loro congiunto che è mancato: il papà, la mamma, un fratello, una sorella, a volte anche più di un familiare all'interno della stessa famiglia”. Si tratta di “tragedie che hanno toccato tutti i bergamaschi” e che “noi, proprio grazie al contributo determinante dei nostri lettori, abbiamo voluto raccontare”. Attraverso di loro, spiega, “abbiamo parlato della vita e anche della morte di queste persone”, il cui comun denominatore - tragedia nella tragedia – è stato il fatto che “se ne sono andati senza un bacio, senza una carezza, senza un saluto nell’ora più buia della loro vita, senza nessuno che potesse seguire il feretro al cimitero e posare un fiore sulla tomba”.

“Questo senso di smarrimento noi lo abbiamo raccontato tutti i giorni, per moltissime settimane”. Perché, rileva Ceresoli, “siamo così: da 140 anni raccontiamo le storie della nostra gente e del nostro territorio”. Non a caso, quando il 1° maggio scorso “abbiamo festeggiato i 140 anni di vita, oltre al messaggio del Capo dello Stato che ci ha riempito di orgoglio e di soddisfazione, i complimenti e gli auguri più belli ci sono arrivati proprio dai lettori che hanno apprezzato il lavoro fatto e ci hanno detto che mai come oggi ci avevano sentito così vicini e partecipi del loro dolore”. Questo, evidenzia il direttore, “per un giornale come il nostro è certamente il complimento più bello”.

Non solo: “Questo tessere storie, questo raccontare la storia dei molti bergamaschi che hanno perso la vita nella pandemia – afferma - ci è valsa anche una telefonata di Papa Francesco che, usando le sue parole, ha apprezzato la grande opera di carità cristiana che il giornale ha fatto raccontando, appunto, la vita di queste persone”. Questo racconto, spiega Ceresoli, “non è finito, anche se la situazione è decisamente migliorata”. Sulla facciata di un edificio adiacente alla sede storica del giornale, infatti, la redazione ha allestito un memoriale. “Lo abbiamo chiamato ‘Ogni vita, una storia’”, dice il direttore spiegando che “su un grande maxischermo ruotano le fotografie, i ricordi, i nomi delle oltre 4.000 persone defunte”. “I familiari, gli amici, chi vuole può scriverci una mail chiedendoci di deporre dei fiori, dei messaggi, cosa che noi facciamo regolarmente tutti i giorni”, continua il direttore che definisce questa iniziativa “doverosa” perché “coltivare la memoria è un dovere a cui non possiamo e non dobbiamo assolutamente sottrarci”. Si tratta di “un'altra iniziativa di vicinanza ai nostri lettori, un anticipo del grande tributo che Bergamo certamente saprà celebrare ai propri morti quando tutto questo sarà finito”.