La finanza ha avviato questo lunedì una verifica fiscale «extraprogramma» su Google Italy Srl. Vuole capire se la società paga le tasse dovute all’Italia. I manager dell’azienda dovevano aspettarselo, esattamente una settimana prima Corrado Passera li aveva avvertiti: «C’è tanta gente che fa milioni di utili e fa lezione ogni giorno a tutti e poi viene fuori che non paga le tasse. Ma che diamine!» aveva detto il 19 novembre il ministro dello Sviluppo economico parlando dei padroni della Silicon Valley durante una tavola rotonda sulle start up organizzata a Milano dalla Vodafone.
«Bisognerebbe andare a prendere anche i tanti piccoli che evadono – aveva continuato il ministro –, ma ciascuna di queste aziende fa milioni di piccoli, quindi prima andiamo addosso a questi». Detto fatto.
L’indagine della finanza italiana è l’ultima puntata di una campagna giornalistica iniziata ormai due anni fa sulle pagine del quotidiano irlandese Irish Times e arrivata da qualche settimana in Italia. Il meccanismo è complesso: Google è una società californiana che ha dato in licenza la sua attività pubblicitaria (dalla quale arrivano quasi tutte le sue entrate) alla controllata Google Ireland Holdings, società basata in Irlanda per ragioni fiscali (lì le tasse sugli utili sono al 12,5%) ma gestita dalle Bermuda, dove gli utili non sono tassati per niente. Google Ireland Holdings ha a sua volta dato questa attività in licenza a una società sempre del gruppo ma stavolta con sede in Olanda (dove certe audaci manovre fiscali sono permesse, a prezzi da concordare con l’autorità). La società olandese ha poi passato la licenza a Google Ireland Ltd, la vera base europea del gruppo, che raccoglie tutte le entrate della pubblicità venduta in Europa. Buona parte del denaro incassato da Google Ireland Ltd passa come royalty alla società olandese e quindi viene trasferita alle Bermuda. Col risultato che dei 12,5 miliardi di euro che Google ha fatturato nel 2011 attraverso la pubblicità venduta in Europa 9 miliardi sono andati in spese amministrative (comprese le royalty ) e solo 24 milioni sono risultati come utile prima delle tasse. Roba da media azienda.
Google Italy srl ha bilanci proprio da piccola impresa: ha chiuso il 2011 con 40,7 milioni di euro di fatturato e utili per 3,3 milioni . All’Erario sono andati 1,8 milioni. Lo Stato incassa di più dalle tasse fatte pagare a un buon attaccante di serie A. Le cifre del bilancio sono uscite su un’inchiesta sul fisco dei colossi della Silicon Valley (sono organizzati più o meno tutti come Google, a partire da Apple o Amazon) pubblicata sul magazine Sette a metà novembre. Da quell’indagine giornalistica emerge che Google Italy Srl ha circa il 50% del mercato italiano della pubblicità on line, cioè un giro d’affari di 600 milioni di euro. Però è quasi tutto denaro fatturato direttamente in Irlanda, e quindi inserito in quel circolo che lo fa passare dall’Olanda e arrivare alle Bermuda.
Sollecitato a fare qualcosa proprio da uno dei giornalisti autori dell’inchiesta italiana Passera ha promesso che si sarebbe mosso. Tre giorni dopo Stefano Graziano, deputato del Pd, ha presentato un’interrogazione sulla vicenda alla commissione Finanze della Camera e ieri Vieri Ceriani, sottosegretario all’Economia, ha risposto annunciando l’indagine avviata dalla Finanza. In Francia, secondo indiscrezioni, il governo per un caso quasi identico ha chiesto alla società 1 miliardo di euro. L’esito delle verifiche italiane non è scontato: le cifre citate dal sottosegretario – 96 milioni di euro di Iva che Google non avrebbe pagato sui 240 milioni incassati in Italia tra il 2002 e il 2006 – si riferiscono una simile indagine completata dalla Finanza nel 2007 ma di cui ancora non si conosce il risultato concreto. L’azienda è tranquilla: «Google – ha comunicato ieri – rispetta le leggi fiscali in tutti i Paesi in cui opera e siamo fiduciosi di rispettare anche la legge italiana. Continueremo a collaborare con le autorità competenti». Lo aveva ammesso lo stesso Passera: in queste aziende quando si tratta di fisco «sono veramente bravi, anche se non riesco a usare la parola bravi per chi evade le tasse...».