Tenere in tasca un apparecchio sempre collegato alla Rete ha un prezzo che non è solo quello indicato nei negozi. Il costo meno evidente, ma forse più oneroso per chi utilizza uno smartphone, è la continua cessione, più o meno inconsapevole, delle proprie informazioni personali ad aziende interessate a sapere tutto di tutti per poi vendere meglio i loro prodotti. Aziende che hanno trovato nei telefonini di nuova generazione preziosissime miniere di informazioni personali di utenti che, magari con poca cautela, regalano a chiunque piccole o grandi fette della loro vita. Con in tasca un telefonino sempre connesso, ha ricordato pochi giorni fa anche il garante per la Privacy, Francesco Pizzetti, siamo come tanti piccoli 'Pollicino' che disseminano tracce di sé un po’ ovunque. Certo, anche quando si accede a Internet con un Pc comunichiamo informazioni più o meno sensibili, ma gli smartphone sono un’altra cosa. Prima di tutto perché usano sistemi di geolocalizzazione Gps che prelevano dati precisi sulla nostra posizione geografica nel momento in cui accediamo a un servizio. Non solo. Mentre su un computer dopo la navigazione è possibile cancellare i cookies, ovvero le tracce di siti o pagine visitate, su uno smartphone tutto resta registrato sul telefono e inizia a viaggiare nell’etere. Fuori dal nostro controllo.
Qualche esempio: Apple ha confermato che gli iPhone mantengono un database degli hotspot wifi e delle antenne della telefonia mobile disponibili in prossimità del dispositivo. In teoria si tratta di informazioni, come hanno spiegano i tecnici della società, che vengono sfruttate per ridurre il tempo necessario a localizzare l’utente da qualche minuto ad una manciata di secondi. Succede la stessa cosa nei dispositivi Android, dove alla prima accensione, il sistema operativo chiede il permesso di tracciare la posizione dell’utente usando reti wifi e telefoniche. Se si acconsente, una finestra di dialogo spiega che «il servizio di geolocalizzazione di Google utilizzerà, in forma anonima, alcuni dati raccolti dal proprio dispositivo mobile». Più subdole sono le insidie per la privacy che arrivano dalle applicazioni. Le apps sono programmi che vengono scaricati sul telefono e quasi sempre forniscono servizi via web, il cui utilizzo implica quindi che i dati personali siano spostati o copiati nel cloud, cioè nei data center del fornitore del servizio. Spesso l’utente non è neppure consapevole del fatto che sta utilizzando un servizio cloud, anche se poi dà per scontata la possibilità di accedere agli stessi dati da più dispositivi senza bisogno di trasferirli manualmente ogni volta. Un’indagine del Wall Street Journal ha rivelato che la metà delle applicazioni forniscono dati personali a società terze, in alcuni casi senza nemmeno dare agli utenti la possibilità di acconsentire o meno al loro invio. I destinatari dei dati sensibili sono quasi sempre aziende che effettuano ricerche di mercato e che, una volta raccolti i dati e divisi i flussi in aree specifiche, sono in grado di fornire ai pubblicitari delle coordinate sociali precise per veicolare i propri messaggi.
Per esempio con la sua app Facebook preleva (e si tiene per sé) le informazioni sul luogo da cui lo stiamo usando. Lo stesso fa anche Google maps, che però quelle informazioni (anonime) le vende anche ad altri. Idem l’app del New York Times. Entrambi inviano a terze parti anche il codice unico di identificazione del telefono. Un numero che in sé non rivela nulla, ma che incrociato con altri dati come acquisti online, connessioni sui social network e posizioni geografiche può fornire un quadro preciso di un utente. Questo codice - che identifica anche in modo univo il dispositivo (marchio e modello) che stiamo utilizzando viene prelevato anche da Groupon, il social network dello shopping che lo invia a società che si occupano di predisporre campagne pubblicitarie. Generalmente molto indiscreti anche i videogiochi: il famoso Angry birds invia a terze parti dati sensibili come contatti, città in cui ci troviamo e codice del telefono.
Sotto l’instancabile assedio degli spioni, il proprietario dello smartphone non sempre ha la possibilità (e a volte nemmeno la volontà) di difendere i 'fatti suoi'. Ma gli conviene almeno essere consapevole di quello che gli altri possono sapere di lui.