UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

I bambini afflitti del Web

C’ è un nuovo modo di far soldi con i bambini: adesso basta riprenderli in un video a costo zero con un telefonino e postarlo su YouTube, sperando di essere fortunati. È un’infanzia afflitta quella che casca così nella rete per volontà dei grandi, dove la violenza è sottile, melliflua...
30 Novembre 2011
C’ è un nuovo modo di far soldi con i bambini: adesso basta riprenderli in un video a costo zero con un telefonino e postarlo su YouTube, sperando di essere fortunati. Nel momento in cui diventa virale – termine tecnico che indica la diffusione incontrollata per 'contagio', ossia passaparola e link correlati – ci penseranno gli amministratori di Google, di cui YouTube è parte, al primo contatto. Con una cortese email verrà richiesta l’adesione per far passare banner di pubblicità sotto il video, condividendone i profitti: per alcuni genitori, nei casi più eclatanti, si può arrivare a migliaia di dollari, se non addirittura a centinaia di migliaia. La star del momento sul Web è Lily, una bambina americana di sei anni che il giorno del suo compleanno ha ricevuto assieme a uno zainetto rosa confetto contenente un pigiama (per una notte fuori!) e dolcetti vari (per il viaggio...), la comunicazione della partenza seduta stante per Disneyland. La sua reazione, al limite dell’isterico, con un pianto fragoroso e prolungato (di gioia?), è stata ripresa, prontamente caricata su YouTube e vista, a oggi, da più di 5 milioni di persone.

I media americani affermano che Disney, che non poteva lasciarsi scappare un promo così ghiotto, pare stia firmando un contratto per poter usare liberamente le immagini per le sue pubblicità tv. In più, ogni volta che qualcuno clicca selezionando quel filmato la mamma della piccola Lily riceve soldi nel suo portafoglio. Al momento, però, il top di questi video è «David torna a casa dal dentista», che ha già fruttato al padre più di 100mila dollari. Vi troviamo il povero David, reduce probabilmente da qualche forma di anestesia, che sul sedile posteriore della macchina sta sperimentando una visione alterata della realtà. Il bimbo di sette anni afferma di vedere quattro occhi sulla faccia del papà e chiede se durerà per sempre, suscitando l’ilarità del genitore-regista­-cameraman.
Fa tenerezza, se non compassione, questo bimbo con la bocca piena di punti e stordito da una sostanza chimica che gli snatura la percezione delle cose, anche perché lui ne è visibilmente infastidito, e un pochino spaventato. Eppure, di fronte a questa testolina ciondolante con gli occhi che faticano a stare aperti, il padre che fa? Riprende. E si diverte, compiacendosi. Ciò che colpisce, di questa moda, non è tanto o solo la monetizzazione delle esperienze dei bambini: questa infatti è la conseguenza di un atto che precede. Colpisce che ci siano padri e madri per cui la realtà dei propri figli diventa un dato da registrare e dare in pasto alle platee. C’è un orgoglio disturbato nella posizione che considera il bambino un puro prodotto da esibire, tanto più carino e tenero quanto più piccolo o in difficoltà. Limitarsi a filmare la realtà non coincide affatto col viverla: significa piuttosto ridurla, depotenziarla, nell’illusione di una sua amplificazione mediatica. Un bambino uscito da una procedura chirurgica chiede e merita di essere abbracciato e confortato, accolto nella condizione di difficoltà e tranquillizzato sulla sua temporaneità. Non di essere trasformato in uno show, e a tradimento, pure.
È un’infanzia afflitta quella che casca così nella rete per volontà dei grandi, dove la violenza è sottile, melliflua, fatta di risolini tanto ignoranti quanto colpevoli.
Ignoranti della dignità del bambino ridotto a macchietta, e colpevoli nel passaggio all’atto di un esibizionismo scriteriato e forse avido. I bambini sono uno spettacolo, non fanno spettacolo. La gioia per il regalo di Lily e il disorientamento di David avevano già tutti gli spettatori che in quel momento importavano; non chiedevano di diventare virali nel Web, attendevano solo un segno di riconoscimento e di simpatia. Qualcosa di più umano che diventare inconsapevoli protagonisti di un reality.