UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

I Dardenne a Venezia:
il cinema dia speranza

Il Premio "Bresson" è stato consegnato ai due cineasti belgi da monsignor Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali. «Nei film esploriamo tutti i personaggi, buoni e cattivi, senza giudizi. Un nostro film su Gesù? Ci piacerebbe, ma c’è già il capolavoro di Pasolini»
6 Settembre 2011
Un premio per il cinema «u­mano », puntato sui valori e che non cerca facili scor­ciatoie. «Erano anni che pensava­mo ai fratelli Dardenne come le­gittimi destinatari del Premio Bresson». L’attesa espressa da monsignor Dario E. Viganò, pre­sidente della Fondazione Ente dello Spettacolo, si è concretizza­ta ieri alla Mostra di Venezia: sor­ridenti e inseparabili, i due registi di origine belga lo hanno ritirato dalle mani di monsignor Claudio Maria Celli, presidente del Ponti­ficio Consiglio delle Comunica­zioni Sociali. Come la Chiesa, Jean-Pierre e Luc hanno sempre posto al centro del loro interesse cinematografico l’uomo nella sua completezza e complessità. Ec­cellenza, è un impegno etico con­diviso sui cui riflettere...

 
 
«La Chiesa è attenta alla realtà del cinema e all’opera di questi due fratelli perché, con tono delicato, ma incisivo e attento, cercano di capire qual è la vita dell’uomo di oggi, quali sono le angustie e i de­sideri, le sofferenze e le angosce. Scavano nell’animo per percepir­ne gli aneliti, le speranze. Non si tratta solamente di due registi at­tenti a tematiche religiose. Direi che danno un significato più ve­ro, più profondo a questa parola: la loro è un’attenzione precisa e serena a quello che l’uomo vive e sperimenta». L’unicità del mo­mento è percepita dai Dardenne, che rispondono all’unisono.
 
Vi è stato conferito un premio di ispirazione cattolica: che cosa si­gnifica per voi?
«Pensiamo che nella religione cat­tolica ci sia una dimensione uni­versale molto forte e che l’inte­resse per la sofferenza umana sia lì, nella religione stessa. Il nostro cinema si è sempre interessato a questa sofferenza. Un premio – sia esso di ispirazione cattolica o pro­testante o ebraica – deve per noi essere come il nostro cinema: in­teressarsi all’essere umano, alla sua fragilità, alla sua sofferenza e alla sua speranza».
 
Chi è per voi Robert Bresson?
«Abbiamo visto tutti i suoi film, con lui si è formato il nostro sguardo, attento soprattutto ai dettagli: un gesto, un corpo... Gra­zie al dettaglio, l’essere umano prende sullo schermo una forma unica e riconoscibile».
 
Nei vostri film descrivete la vita in tutta la sua autenticità, senza mai giudicarla.
«Un film non è un tribunale dove si giudica chi è buono e chi è cat­tivo. Dobbiamo amare tutti i per­sonaggi dei nostri film, l’assassi­no e la vittima. Quello che conta è esplorare nel modo più profon­do possibile sia chi uccide sia chi è ucciso».
 
Correva voce, nel 2005, del vostro interesse per un film sulla vita di Gesù.
«Abbiamo parlato di questo pro­getto in mezzo a tante altre cose e tutti hanno detto che i Darden­ne avrebbero girato un film sulla vita di Gesù. C’è già quello di Pa­solini come punto di riferimento. Però confessiamo che sarebbe bello confrontarci con questa fi­gura ».
 
Nel frattempo?
«Come nella musica, anche nel ci­nema bisogna che le cose riman­gano segrete. Le si mostra soltan­to alla fine».