UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

I media e il Papa, un anno difficile

Da Parigi, dove si è riunita l'Assemblea Plenaria dei Presidenti delle Conferenze Episcopali d'Europa, il card. Angelo Bagnasco, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, è stato chiamato ad approfondire il delicato tema di come i mezzi di comunicazione hanno presentato al gerande pubblico, quest'anno, quel che ha detto, in varie circostanze, Bendetto XVI. Ecco il testo del suo discorso.
5 Ottobre 2009

Da Parigi, dove si è riunita l'Assemblea Plenaria dei Presidenti delle Conferenze Episcopali d'Europa, il card. Angelo Bagnasco, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, è stato chiamato ad approfondire il delicato tema di come i mezzi di comunicazione hanno presentato al grande pubblico, in varie circostanze di quest'anno, quel che ha detto Bendetto XVI. Ecco il testo del suo discorso.

Saluto e ringrazio Sua Eminenza il Cardinale Presidente e tutti i Confratelli nell’Episcopato per l’invito a illustrare questo significativo tema: “I Media e il Papa: un anno difficile”.
Si tratta di un tema complesso e assai rilevante, considerata l’importanza assunta nell’odierna società globalizzata dai mezzi di comunicazione e i rischi connessi a un loro uso distorto, soprattutto oggi che, “in modo sempre più marcato, la comunicazione sembra avere talora la pretesa non solo di rappresentare la realtà, ma di determinarla grazie al potere e alla forza di suggestione che possiede” (Benedetto XVI, Messaggio per la 42° Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, 24 gennaio 2008).
In base all’analisi dell’esperienza italiana, che offre un punto di osservazione per molti aspetti privilegiato, si può affermare che in un primo periodo la rappresentazione mediatica del pontificato di Benedetto XVI è stata nel complesso adeguata e sostanzialmente positiva.
Le perplessità di qualche commentatore, legate per lo più alla proiezione sul nuovo Pontefice degli stereotipi  non sempre del tutto positivi riferiti al cardinale Ratzinger ovvero alla sua presunta scarsa capacità comunicativa, sono state ben presto superate o comunque ridimensionate da un giudizio più attento ai contenuti del magistero, e dal riconoscimento della particolare attrattiva esercitata dal Papa sulle folle nonostante il suo stile volutamente sobrio, incentrato sulla parola più che sui gesti.
Questa attrattiva è stata alimentata da alcuni grandi eventi che si sono imposti dal punto di vista mediatico, come ad esempio la visita alla sinagoga di Colonia, compiuta durante il primo viaggio in Germania, il 19 agosto 2005, oppure la visita al campo di concentramento di Auschwitz–Birkenau, compiuta in occasione del viaggio in Polonia, il 28 maggio 2006 o ancora la visita alla Moschea Blu di Istanbul, compiuta durante il viaggio in Turchia, il 30 novembre 2006, o infine la lectio magistralis all’Università di Regensburg del 12 settembre 2006.
Oltre a questi eventi di notevole impatto, l’attenzione dei media è stata catalizzata dagli interventi di Benedetto XVI sui cosiddetti “principi non negoziabili” o sulle radici cristiane dell’Europa, cha hanno suscitato un vivace dibattito nell’opinione pubblica dei principali paesi europei.
Una minore considerazione è stata invece riservata a taluni incontri densi di significato per la vita ordinaria della Chiesa, come le visite alle parrocchie di Roma, i colloqui con i gruppi e le catechesi del mercoledì, che in realtà  rappresentano spesso l’occasione per un’attività di predicazione e testimonianza da parte del Papa che meriterebbe ben altro rilievo e approfondimento.
Si avverte qui il rischio, emerso già a partire dal secondo anno di pontificato e via via accentuatosi, di una rappresentazione mediatica riduttiva, che tende a sottodimensionare il Papa testimone e predicatore del Vangelo e a sovrarappresentare il Papa intellettuale e politico, a enfatizzare gli interventi ritenuti potenzialmente conflittuali, giudicati più utili a fare notizia, e a trascurare alcuni temi di fondo che rivelano le priorità del Pontificato.
Queste ben note priorità possono essere brevemente richiamate.
La prima é rappresentata da Dio stesso, dal rapporto con Lui e dalla fede in Lui tramite il Signore Gesù Cristo che lo ha rivelato a noi. In questa prospettiva si può parlare anche di una priorità “cristologica”, manifestata in particolare nel libro Gesù di Nazaret, che spinge Benedetto XVI a riaffermare con forza che Gesù Cristo è la via a Dio Padre, il nostro unico salvatore, la vera sostanza della fede cristiana.
La Chiesa deve rendere Dio presente in questo mondo e aprire agli uomini l’accesso a Dio. Questa missione si realizza anzitutto attraverso la preghiera, personale e liturgica, e richiede di avere a cuore l’unità dei credenti: sono queste, la preghiera e l’unità dei credenti, ulteriori priorità dell’attuale pontificato che coinvolgono tutti, ciascuno per la propria responsabilità.
Un’ultima priorità che pare qui opportuno richiamare riguarda la chiarificazione di un autentico concetto di libertà, necessaria per la vita della persona e per il bene della società. A questo proposito Benedetto XVI, rifiutando ogni etica e concezione riferibili a quella che ha definito come “dittatura del relativismo”, sottolinea che la libertà della persona è per sua natura relazionale e non può escludere la responsabilità verso l’altro. La libertà è tale, si può osservare, solo in relazione con il valore indisponibile di ogni vita, della pace, della giustizia, della solidarietà e di tutti i beni umani fondamentali al cui apprezzamento e rispetto essa peraltro ha bisogno di essere educata.
Se si ignora o trascura questo quadro di priorità nel quale si collocano i diversi interventi del Pontefice è difficile evitare rappresentazioni parziali e fuorvianti, critiche ideologiche e preconcette, letture volte a far dire al Papa ciò che egli con tutta evidenza non dice, fino ad alimentare persino forme di ostracismo estranee alla dialettica democratica. 
Rientrano in questa tipo di deriva mediatica alcuni recenti polemiche, come ad esempio quelle conseguenti al celebre discorso di Ratisbona, al Motu proprio che consente l’uso della liturgia preconciliare, o alla remissione della scomunica ai quattro vescovi lefebvriani, o ai chiarimenti circa la natura del dialogo interreligioso, o alle considerazioni sui limiti dell’uso dei preservativi svolte nel corso del viaggio in Africa.
In tutti questi casi, una rappresentazione corretta avrebbe consentito di superare i fraintendimenti e di chiarire l’effettiva portata di interventi che, lungi dal giustificare talune aspre critiche  ch si sono registrate, in realtà sviluppano coerentemente  alcune linee guida del pontificato e le priorità sopra richiamate.
É stata invece preferita una lettura parziale e non di rado francamente scorretta, che induce a domandarsi se in alcune componenti della cultura e dei mezzi di informazione non si stia facendo strada un anticlericalismo interessato a nascondere il vero volto della Chiesa e a distorcere il significato del suo messaggio, così che questo risuoni come incoerente o anacronistico e la Chiesa appaia animata solo dalla volontà «di alzare muri e scavare fossati», soprattutto in materia di etica. Sarebbe questa la Chiesa dei «no», nemica dell’uomo e indifferente ai suoi bisogni, oscurantista e contraria alla razionalità scientifica.
In realtà, segnalare i rischi che la mancanza del rispetto incondizionato per l’essere umano può comportare per la dignità dell’uomo non è certamente segno né di ostilità verso la scienza né di ottusa resistenza verso il moderno; è compito della Chiesa segnalarli, la loro segnalazione è piuttosto un sintomo di sollecitudine e di amicizia: l’amico non può non segnalare un pericolo.
Il più della Chiesa è condensabile nel grande «sì» con cui risponde all’amore del Signore indicando Lui a tutti. Per questo parla principalmente di Dio e della vita eterna, destinata cioè a non finire. Parla di speranza e di felicità. Alcuni «no», che ad un certo punto la Chiesa reputa di dover dire, sono il risvolto esatto di un’etica del «sì», e ancora più a fondo di un’etica dell’amore, in nome della quale non si può, per ottenere un facile quanto effimero consenso, scambiare, a danno di chicchessia, il male per il bene.
Si vorrebbe forse da parte di taluni ambienti una Chiesa o supinamente allineata sull’opinione che si autoproclama prevalente e progressista, o semplicemente muta. Le linee di demarcazione chiare, che impongono scelte a volte laceranti per le coscienze e quasi sempre non facili, non sono certamente in sintonia con un mondo dove la relatività (o il relativismo) dell’etica e della morale sottrae la scelta alla coscienza per consegnarla in un limbo dove tutto è al di là del bene e del male.
Tuttavia, la Chiesa non può venire meno alla propria missione. Esprimere liberamente la propria fede, partecipare in nome del Vangelo al dibattito pubblico, portare serenamente il proprio contributo nella formazione degli orientamenti politico-legislativi accettando sempre le decisioni prese dalla maggioranza non può essere scambiato per una minaccia alla laicità dello Stato.
La Chiesa non vuole imporre a nessuno la propria morale “religiosa”: essa enuncia da sempre e non può non enunciare – insieme a principi tipicamente religiosi – i valori fondamentali che definiscono la persona e ne garantiscono la dignità, senza alimentare polemiche ma privilegiando sempre il metodo del confronto sereno e costruttivo e la ricerca del bene comune.
Un ruolo essenziale per la conoscenza e la diffusione di tali valori, richiamati con esemplare chiarezza dal magistero di Benedetto XVI, spetta oggi ai mezzi di comunicazione. Si può auspicare che nell’esercizio di un compito così delicato prevalgano sempre le ragioni  e i criteri di una responsabilità deontologica che, se non esclude la possibilità di critiche fondate e costruttive, tuttavia trova la propria ultima verifica nella capacità di contribuire alla conoscenza e alla ricerca della verità.

Angelo Card. Bagnasco
Arcivescovo di Genova
Presidente della Conferenza Episcopale Italiana