UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

I preti “filtrati” dai mass media

Sacerdoti e stereotipi: la diocesi di Brescia ha analizzato i racconti mediatici sulla figura del prete prendendo lo spunto dalla visione comunitaria dell'ultimo film di Carlo Verdone.
27 Gennaio 2010
Può il cinema servire ancora per sondare l’animo umano e stimolare pensieri su ciò che viviamo? È possibile che un film ritorni ad essere strumento di dialogo con la comunità? Credo di sì, anche quando si tratta di preti. A Brescia, nei giorni scorsi, ci abbiamo provato proponendo ai sacerdoti diocesani una visione riservata della commedia di Carlo Verdone «Io, loro e Lara» , in programma nei cinema di tutta Italia. I preti (quelli veri) hanno aderito in una settantina. Parroci e vicari parrocchiali, sacerdoti di curia, novelli e monsignori in pensione hanno scelto di trascorrere una mattinata al cinema per «farsi due risate» , ma anche per riflettere insieme sull’immagine che del prete danno i mezzi della comunicazione sociale.
  L’iniziativa dell’Ufficio per le comunicazioni sociali e del Sas (servizio assistenza sale della comunità) della diocesi si colloca nel contesto dell’Anno Sacerdotale e della diffusione del messaggio per la 44 ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali che Papa Benedetto XVI ha dedicato al rapporto tra sacerdoti e media.
  Ma torniamo alla visione bresciana.
  «Come ci raccontano? Quale figura di noi viene costruita nell’immaginario collettivo dai preti in voga su piccolo e grande schermo? Cosa c’è di don Camillo, don Luca o don Matteo nella nostra vita? Quanto ci rappresentano e quanto dicono del nostro ministero e della nostra passione per il Vangelo?» . Domande legittime (da preti) soprattutto in un tempo dove la cultura sembra costruita dallo spettacolo e dove è facile giudicare per stereotipi.
  I bresciani si sono così messi a confronto e l’occasione è venuta proprio dal film di Carlo Verdone. Questa commedia onesta, si presta proprio a farci capire come la gente ci vede. Nel film, la schietta umanità di don Carlo (Verdone, attore e regista) viene messa a dura prova quando dalla missione dove opera in Africa decide di tornare in Italia per prendersi un momento di riflessione sul suo percorso di fede. Al ritorno in famiglia però vive un’esperienza grottesca, con rapporti umani allo sbando: il padre che sposa la sua giovane badante moldava Olga; la sorella psicologa opportunista e isterica, il fratello cocainomane e Lara, la sorellastra dal carattere provocatorio, ma che si rivelerà migliore di quanto appare all’inizio. Tra questi e altri personaggi, tutti in balia di debolezze e manie, don Carlo si giocherà nei rapporti umani (dove forse il Signore lo chiama).
  La platea ha apprezzato l’umanità con cui Verdone racconta il suo personaggio: «La figura del prete non viene banalizzata, ma presentata come un uomo di Dio tra gli uomini - ha commentato don Aldo Delaidelli di Roncadelle -: Carlo è un prete che vive drammi interiori esattamente come tutti gli esseri umani, a volte nella sua stessa famiglia». «È un film che ci provoca - ha spiegato don Gabriele Pedrina, direttore dell’Ufficio per le comunicazioni sociali di Padova chiamato a presentare la mattinata - : non è importante per il dibattito teologico, ma per il modo in cui viene descritto il protagonista» . Secondo Pedrina, Carlo non è un prete eccezionale come come ad esempio don Matteo, che merita attenzione perché fa l’investigatore, ma è un prete che vive la contemporaneità e che, ai clichè, sembra rispondere: «Ma è davvero questo che pensate di me?» .
  Verdone offre al pubblico un prete onesto che anche per questioni complesse come la castità, come ha sottolineato don Renato Piovanelli di Rezzato, «ammette la sua fragilità pur rimanendo vigile, senza permettere che questa degeneri nel peccato» . «Un sacerdote che si chiede se la comunità lo consideri un prete o lo veda più come una persona che ascolta, su cui riversare le proprie grane - ha aggiunto don Delaidelli - . È un prete alla portata di tutti: non un santo, non un asceta, ma un uomo con le sue debolezze che deve mettersi in gioco nelle relazioni quotidiane» .
  Una critica al film? Qualcuno dei presenti sottolinea che «don Carlo è un prete che, forse, manca un po’ di spiritualità» . Le conversazioni di don Camillo con Dio, attraverso il crocifisso, forse sarebbero potute apparire superate, ma nel film sembra che Carlo non senta mai il bisogno di fermarsi a pregare. « Sarebbe potuto essere anche altro, rispetto a un prete» , è stato un commento. E c’è chi ha chiesto «Io, loro e Lara... e Dio?» .
  Questo in un film che, in quanto mediazione culturale, ha permesso, stavolta ai preti, di ritrovarsi un po’ di più - quasi a dire - «quel prete, pur con qualche difetto, è un po’ uno di noi soprattutto quando nel nostro ministero siamo accanto alle famiglie in difficoltà, con i giovani inquieti, con gli anziani soli e ci sforziamo di dire loro una parola di vita e di speranza» . Il fatto, poi, di averlo condiviso li ha aiutati a prenderne coscienza e forse a desiderare che anche gli altri - quelli che i preti li raccontano ­- conoscendoli imparino a comunicarli con più verità.
 

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