UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Il “Faust” di Sokurov
un dramma moderno

L'8 settembre al Festival di Venezia il russo Alexander Sokurov ha pro­posto una versione del "Faust" che fa emergere i veri significati rimasti tra le righe di un’opera fondamen­tale per la cultura europea. Accolto da una pioggia di applausi, il film si piazza senza alcun dubbio tra i favoriti per il Leone d’Oro.
9 Settembre 2011
Chi studia a scuola il Faust di Goethe ricorda la storia di un uomo che vende la sua ani­ma al diavolo in cambio di un atti­mo di piacere destinato a durare per sempre. Il mefistofelico patto è sta­to da sempre consi­derato il tema cardi­ne della tragedia al­la quale lo scrittore tedesco lavorò per sessant’anni, dal 1772 al 1831. L'8 settembre al Festival di Venezia il russo Alexander Sokurov ne ha pro­posto una versione personalissima che fa emergere i veri significati rimasti tra le righe di un’opera fondamen­tale per la cultura europea. Accolto da una pioggia di applausi, il film si piazza senza alcun dubbio tra i favoriti per il Leone d’Oro. Ulti­ma parte della tetralogia sulla natu­ra del potere, arrivato dopo Moloch (su Adolf Hitler), Taurus (su Lenin, che curiosamente portò con sé il Faust durante il suo esilio in Siberia, e Stalin) e Il sole (su Hirohito, impe­ratore del Giappone), il film affian­ca quello di Faust, come dice il regi­sta stesso, ai ritratti dei «grandi gio­catori che hanno perso le più im­portanti partite della loro vita». 'Fau­st' in russo, spiega il regista «signi­fica 'pugno'. E come un pugno chiude tutto: è la sintesi dei miei film della riflessione sul potere». In co­mune con quei personaggi storici, il letterario protagonista della pellico­la ha l’amore per le parole a cui co­sì facilmente si presta fede e una pa­tologica infelicità, che emerge nella vita quotidiana. E lo stesso Goethe mette in guardia su quanto perico­lose siano le persone infelici.

«Ai nostri giorni l’anima sembra co­stare davvero poco – dice il regista – ma non ci sono molti acquirenti in giro». Il Faust sokuroviano, perso­naggio mitico che simboleggia la ri­bellione ai limiti della natura uma­na, è accompagnato da un diavolo u­suraio deforme e iconoclasta, è as­setato di conoscenza e si agita in­stancabile in spazi troppo angusti per contenere i sogni, i progetti di un uomo che si fa portatore di idee anticipatrici di modernità. Faust ac­cetta il patto con il diavolo perché è sicuro che nulla mai al mondo lo sa­zierà al punto da fargli desiderare di fermare quell’attimo. La scommes­sa del demonio, che tenta in conti­nuazione il medico, è insomma per­sa in partenza. Del resto l’anima, nei tanti corpi aperti e sezionati, lui non l’ha mai trovata. Contando su una sontuosa, monu­mentale e visionaria messa in scena in sintonia con la grandiosità del per­sonaggio, il film complesso, spesso sgradevole in alcu­ne scene mortifere ambientate tra carni massacrate che ri­mandano alla pittu­ra di Bosch («Avevo girato scene anche più orribili, ma ho deciso di buttarle, non erano neces­sarie»), identifica in un continuo, in­quieto errare tra ghiacciai, boschi e lande desolate l’essenza stessa del­la condizione umana. E afferma il tragico paradosso secondo il quale solo la presenza del demonio può condurci al divino.