UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Il giornalismo che rende liberi

Le porte del Vescovado si sono aperte, anche quest’anno, per accogliere i giornalisti astigiani riunitisi venerdì scorso nel celebrare la tradizionale ricorrenza del loro patrono, San Francesco di Sales. Non si pensi a un incontro autocelebrativo anzi, l’emotività generata dall’attacco terroristico alla redazione parigina di “Charlie Hebdo” (dove hanno perso la vita 12 colleghi) ha stimolato la riflessione sulla libertà di espressione e il peso che assumono le parole nella narrazione dei fatti.
3 Febbraio 2015

Le porte del Vescovado si sono aperte, anche quest’anno, per accogliere i giornalisti astigiani riunitisi venerdì scorso nel celebrare la tradizionale ricorrenza del loro patrono, San Francesco di Sales. Non si pensi a un incontro autocelebrativo anzi, l’emotività generata dall’attacco terroristico alla redazione parigina di “Charlie Hebdo” (dove hanno perso la vita 12 colleghi) ha stimolato la riflessione sulla libertà di espressione e il peso che assumono le parole nella narrazione dei fatti.
 
Il vescovo
Il padrone di casa, monsignor Francesco Ravinale, ha tratteggiato la personalità di San Francesco come quella di “fondatore della spiritualità moderna” ed esempio che chi svolge il proprio lavoro con dedizione merita la santificazione. Purtroppo la dignità e le responsabilità connesse al ruolo del giornalista spesso vengono sfumate dall’incalzare di un certo sensazionalismo che funge da specchietto per le allodole nei confronti dei lettori: “one shoot one kill” o meglio in questo caso, “one shock one kill”, il pubblico cade rapito dal titolo più eclatante rispetto ai reali contenuti. Per tornare a seguire la voce della coscienza il vescovo di Asti ha letto la Preghiera del giornalista scritta da Bruno Forte (arcivescovo di Chieti-Vasto), che si conclude con una frase che profuma d’eccelso: “Sostieni il mio cammino al servizio del bene di tutti sulla via della verità, che ci fa liberi”.
 
L’intervento di Zanotti
Dicevamo il peso delle parole: per Francesco Zanotti, presidente Fisc (Federazione Italiana Settimanali Cattolici), direttore del Corriere Cesenate e ospite d’onore dell’incontro, tra le sfide che attendono il mondo dell’informazione nell’era multimediale vi è innanzitutto quella di riscoprire il piacere di parlare con il linguaggio della gente.
Un valido esempio è la recente metafora di papa Francesco a commento del caso Charlie Hebdo: assicuriamo la libertà d’espressione ma senza offendere o ridicolizzare le fedi altrui, poiché “se uno dice una parolaccia contro mia mamma, si aspetti un pugno”.
Un concetto, condivisibile o meno, che raggiunge senza necessità di filtri dall’uomo di strada al professore universitario. Il giornalista, secondo Zanotti, deve quindi approcciarsi alla notizia con lo spirito di un compagno di viaggio con i propri lettori, raccontare la vita dei territori filtrando gli eventi con la giusta esperienza che gli compete. “I giornalisti formano informando, nei nostri articoli non dobbiamo fare le prediche e questa è una grandissima responsabilità”, indica ancora il presidente della Fisc che individua come elemento centrale i lettori: “Sono il massimo che possiamo trattare, non ci occupiamo solo di fatti ma di persone in carne ed ossa”.
 
Libertà di stampa o no
Partendo da questo assunto Zanotti pone dei limiti alla libertà di stampa: “Non è assoluta, le parole scritte sono peggio delle pietre perché queste cadono, mentre le parole restano stampate (oggi in rete) per sempre”. Parole come proiettili: colpiscono la persona e la feriscono, a volte mortalmente
(basti pensare ai suicidi susseguenti alla pubblicazione di alcuni articoli con venature diffamatorie). Ben venga, quindi, una “sana inquietudine” nel trattare i fatti: “I giornalisti dovrebbero dormire con un occhio chiuso e l’altro aperto, tanto è importante essere professionali in questo lavoro. Quando si manda in stampa un giornale dobbiamo essere certi di aver fatto tutto il possibile per offrire il miglior prodotto a chi ne usufruirà”. Il cronista dovrebbe quindi abbandonare, quanto più possibile, l’impronta asettica dei comunicati stampa e scendere in strada per raccontare l’Italia eroica, fatta
di persone che ogni giorno (spesso lontano dai riflettori) contribuiscono con le loro gesta a rendere più vivibile questa società.
Al bando anche i localismi: internet ha squarciato il “velo di Maya” che teneva l’individuo in un letargo conoscitivo e oggi il mondo è verosimilmente a portata di click, tocca quindi al giornalista riportare i fatti locali con uno sguardo al globale, aiutando il lettore nella comprensione della realtà.
“Dobbiamo tornare a intervistare la gente comune – prosegue Zanotti - e gli articoli devono descrivere quello che il giornalista ha vissuto. Insomma, bisogna mangiare lo stesso pane che mangiano i lettori”. A salvaguardia della buona informazione è anche necessario un buon grado
di pluralismo, tasto dolente in Italia vista la cronica mancanza di finanziamenti adeguati: “Non si possono far morire i giornali, anche se piccoli, e parlare di libertà di stampa. Il pluralismo dell’informazione è un valore a cui un Paese democratico non può rinunciare”. Se è vero che spesso la verità ci viene incontro e necessita solo di una penna o un pc per essere raccontata, spetta al giornalista trovare il giusto equilibrio dando voce a chi non ne ha, ma non ci si può permettere di essere ingenui: la cronaca nazionale è senza dubbio più “appetibile” per il lettore ma la stessa tende a comprimere od offuscare l’importanza del territorio d’appartenenza.
Zanotti conclude con un dato eloquente: “Nelle grandi metropoli italiane vivono circa 20 milioni di persone, in Italia siamo 60 milioni. Tagliare i fondi alla piccola editoria significa togliere la voce a due terzi della popolazione italiana”. La conoscenza rende liberi: non facciamocela portare via.
Fabio Ruffinengo