UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Il golpe dei media contro la speranza

Golpe? Ha detto golpe? Sì, il segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin, arriva al Salone del libro e mette in guardia sulle di­storsioni del linguaggio. Lo fa con mitezza unita alla chiarezza, com’è nel suo stile. Com’è, in fondo, nello stile della Chiesa di France­sco.
12 Maggio 2014

Golpe? Ha detto golpe? Sì, il segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin, arriva al Salone del libro e mette in guardia sulle di­storsioni del linguaggio. Lo fa con mitezza unita alla chiarezza, com’è nel suo stile. Com’è, in fondo, nello stile della Chiesa di France­sco. «La potente azione e influenza dei mezzi di comunicazione nella società e nella cultura, ma anche nelle nostre stes­se parole, possono aiutare a crescere o, al contrario, possono disorientare», av­verte. Subito dopo aggiunge: «Quando le immagini e le informazioni veicolate hanno come unico scopo quello di in­durre al consumo o manipolare le per­sone per approfittarsi di esse, siamo di fronte a un vero assalto, a un golpe, a un’'estetica disintegrante', che fa per­dere la speranza nella possibilità di sco­prire la verità e operare il bene comu­ne ». La Sala dei 500, la più grande del Lin­gotto, è piena, molte le autorità in prima fila (il sindaco di Torino Piero Fassino, l’arcivescovo Cesare Nosiglia, il cardina­le Severino Poletto), moltissimi i giorna­listi venuti a seguire l’incontro sulle 'pa­role del Papa'. Adesso, a sorpresa, si sen­tono chiamati in causa. Qui non si può stare tranquilli, la presenza della Santa Sede come Paese ospite d’onore non un dato meramente formale, e non solo per­ché da un anno a questa parte France­sco 'fa titolo'. Per quello che dice, cer­to, e più ancora per i gesti che compie. «Il Papa non comunica, crea eventi co­municativi », puntualizza in apertura il direttore di 'Civiltà Cattoli­ca', padre Antonio Spadaro. E il bello de­gli eventi, in effetti, è che riguardano tut­ti. Non sono un messaggio che scende dall’alto, ma un processo che sollecita la responsabilità di ciascuno.
Il cardinale Parolin lo ha lasciato inten­dere già durante la visita tra gli stand del Salone, quando a una domanda estem­poranea sulle sorti di Expo 2015 ha rac­comandato di non cedere al pessimismo. Anche se i vent’anni da Tangentopoli sembrano passati invano? «Sono serviti - ribatte sicuro - . Immagino che questo impegno che c’è stato è entrato nelle co­scienze. Però, finché esiste il mondo, il male continua ad avere i suoi effetti. Questo non è per giustificare quanto av­viene ma per dire che la realtà umana ci dice che non dobbiamo mai ab­bassare la guardia».
L’orizzonte della po­lis , del resto, è quello che il cardinale stes­so indica nel corso dell’incontro ufficia­le. Molti, anche fra i non credenti, ap­prezzano le parole-chiave del pontifica­to di Francesco (tenerezza e misericor­dia, verità e giustizia), perché si rendo­no conto che le voci di questo nuovo vo­cabolario «prefigurano il profilo di una 'città affidabile', dove confluiscono sugge­stioni teologiche, cul­turali e politiche». Co­sì, allo stesso modo in cui il linguaggio non può essere piegato alla mistificazione, nessu­no è autorizzato a chiudere gli occhi da­vanti alle «moltitudini dei diseredati che vivo­no spesso da 'invisibi­li' anche nei Paesi del Nord ricco del mon­do ». Nessuno, inoltre, è al riparo dalle «pul­sioni che tornano ad a­dorare l’idolo del de­naro che si produce da se stesso e per questo non ha remore a tra­sformare in disoccupa­ti milioni di lavorato­ri ». L’argomentazione è serrata, il giudizio pre­ciso, ma non si traduce in condanna. «Lo sguardo proprio del cristiano sulla vita mo­rale fiorisce dall’esperienza gratuita del­la misericordia - sottolinea il cardinale ­. Per questo i discorsi sulle questioni e­tiche che non tengono conto di tale sor­gente, o che addirittura dileggiano la mi­sericordia facendone la caricatura ed e­tichettandola come 'buonismo', non colgono mai le dinamiche proprie inne­scate nel mondo dai fatti annunciati nel Vangelo».
Sono le direttrici lungo le quali il magi­stero di Jorge Mario Bergoglio si è mos­so fin da quando era arcivescovo a Bue­nos Aires, con un’attenzione tutta parti­colare «ai processi in atto nelle grandi aree urbane dove si mesco­lano opulenza ed e­sclusione sociale, ma­nipolazione massifi­cante e anonimato». O­ra queste stesse urgen­ze devono diventare la mappa di una speran­za e di una responsabi­lità condivisa da giova­ni e meno giovani, da politici e giornalisti, da uomini dell’economia e da ogni cristiano. E anche dagli intellet­tuali in ricerca, come il drammaturgo Eugène Ionesco, rievocato in chiusura dal cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontifi­cio Consiglio della Cul­tura. «L’ultima riga del suo diario - rivela - ri­portava questa nota: 'Pregare. Non so chi. Spero Gesù Cristo'». Non è un caso, come Parolin ha ribadito a più riprese, se le omelie di Francesco si concludono tanto spesso con una do­manda. Una, fra tutte, è la più ricorren­te e decisiva: «Dov’è il tuo tesoro? Su qua­le tesoro riposa il tuo cuore?».