Golpe? Ha detto golpe? Sì, il segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin, arriva al Salone del libro e mette in guardia sulle distorsioni del linguaggio. Lo fa con mitezza unita alla chiarezza, com’è nel suo stile. Com’è, in fondo, nello stile della Chiesa di Francesco. «La potente azione e influenza dei mezzi di comunicazione nella società e nella cultura, ma anche nelle nostre stesse parole, possono aiutare a crescere o, al contrario, possono disorientare», avverte. Subito dopo aggiunge: «Quando le immagini e le informazioni veicolate hanno come unico scopo quello di indurre al consumo o manipolare le persone per approfittarsi di esse, siamo di fronte a un vero assalto, a un golpe, a un’'estetica disintegrante', che fa perdere la speranza nella possibilità di scoprire la verità e operare il bene comune ». La Sala dei 500, la più grande del Lingotto, è piena, molte le autorità in prima fila (il sindaco di Torino Piero Fassino, l’arcivescovo Cesare Nosiglia, il cardinale Severino Poletto), moltissimi i giornalisti venuti a seguire l’incontro sulle 'parole del Papa'. Adesso, a sorpresa, si sentono chiamati in causa. Qui non si può stare tranquilli, la presenza della Santa Sede come Paese ospite d’onore non un dato meramente formale, e non solo perché da un anno a questa parte Francesco 'fa titolo'. Per quello che dice, certo, e più ancora per i gesti che compie. «Il Papa non comunica, crea eventi comunicativi », puntualizza in apertura il direttore di 'Civiltà Cattolica', padre Antonio Spadaro. E il bello degli eventi, in effetti, è che riguardano tutti. Non sono un messaggio che scende dall’alto, ma un processo che sollecita la responsabilità di ciascuno.
Il cardinale Parolin lo ha lasciato intendere già durante la visita tra gli stand del Salone, quando a una domanda estemporanea sulle sorti di Expo 2015 ha raccomandato di non cedere al pessimismo. Anche se i vent’anni da Tangentopoli sembrano passati invano? «Sono serviti - ribatte sicuro - . Immagino che questo impegno che c’è stato è entrato nelle coscienze. Però, finché esiste il mondo, il male continua ad avere i suoi effetti. Questo non è per giustificare quanto avviene ma per dire che la realtà umana ci dice che non dobbiamo mai abbassare la guardia».
L’orizzonte della polis , del resto, è quello che il cardinale stesso indica nel corso dell’incontro ufficiale. Molti, anche fra i non credenti, apprezzano le parole-chiave del pontificato di Francesco (tenerezza e misericordia, verità e giustizia), perché si rendono conto che le voci di questo nuovo vocabolario «prefigurano il profilo di una 'città affidabile', dove confluiscono suggestioni teologiche, culturali e politiche». Così, allo stesso modo in cui il linguaggio non può essere piegato alla mistificazione, nessuno è autorizzato a chiudere gli occhi davanti alle «moltitudini dei diseredati che vivono spesso da 'invisibili' anche nei Paesi del Nord ricco del mondo ». Nessuno, inoltre, è al riparo dalle «pulsioni che tornano ad adorare l’idolo del denaro che si produce da se stesso e per questo non ha remore a trasformare in disoccupati milioni di lavoratori ». L’argomentazione è serrata, il giudizio preciso, ma non si traduce in condanna. «Lo sguardo proprio del cristiano sulla vita morale fiorisce dall’esperienza gratuita della misericordia - sottolinea il cardinale . Per questo i discorsi sulle questioni etiche che non tengono conto di tale sorgente, o che addirittura dileggiano la misericordia facendone la caricatura ed etichettandola come 'buonismo', non colgono mai le dinamiche proprie innescate nel mondo dai fatti annunciati nel Vangelo».
Sono le direttrici lungo le quali il magistero di Jorge Mario Bergoglio si è mosso fin da quando era arcivescovo a Buenos Aires, con un’attenzione tutta particolare «ai processi in atto nelle grandi aree urbane dove si mescolano opulenza ed esclusione sociale, manipolazione massificante e anonimato». Ora queste stesse urgenze devono diventare la mappa di una speranza e di una responsabilità condivisa da giovani e meno giovani, da politici e giornalisti, da uomini dell’economia e da ogni cristiano. E anche dagli intellettuali in ricerca, come il drammaturgo Eugène Ionesco, rievocato in chiusura dal cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura. «L’ultima riga del suo diario - rivela - riportava questa nota: 'Pregare. Non so chi. Spero Gesù Cristo'». Non è un caso, come Parolin ha ribadito a più riprese, se le omelie di Francesco si concludono tanto spesso con una domanda. Una, fra tutte, è la più ricorrente e decisiva: «Dov’è il tuo tesoro? Su quale tesoro riposa il tuo cuore?».