La scelta segnala l’urgenza: lo stile della comunicazione non può prescindere dalla virtù della mitezza. In un tempo segnato da logiche conflittuali e divisive, non si può perdere l’obiettivo di fondo che rimane quello di mettere in comune, generando comunione e condivisione. Sostanzialmente andando controcorrente rispetto agli schemi oggi in voga. Mitezza, infatti, fa rima con misericordia, dolcezza, fraternità: questi non sono valori che sempre sembrano ispirare l’opinione pubblica. Il cammino verso il Giubileo 2025 chiede di riscoprire le motivazioni di una comunicazione diversa, davvero al servizio di tutti. Nel tema scelto dal Papa per la prossima Giornata mondiale delle comunicazioni sociali – “Condividete con mitezza la speranza che sta nei vostri cuori” (cf. 1Pt 3,15-16) – vengono dunque segnalati un obiettivo e una modalità concreta per il suo raggiungimento: «È necessario disarmare la comunicazione, purificarla dall’aggressività». Si tratta di ritrovare la mitezza che, ricordava ancora il Papa in una catechesi del mercoledì (27 marzo 2024), «è capace di vincere il cuore, salvare le amicizie e tanto altro, perché le persone si adirano ma poi si calmano, ci ripensano e tornano sui loro passi, e così si può ricostruire con la mitezza». L’orizzonte in cui compiere questo processo primariamente interiore è lo stesso della speranza. C’è una grammatica comune, un alfabeto cui ogni comunicatore – ciascuno in base alla propria responsabilità – deve attingere per infondere fiducia, per far capire che un mondo diverso è possibile. La speranza impegna ed esige. Un principio della comunicazione recita: non si è buon comunicatore se non si è prima un buon ascoltatore. Lo stesso vale per la speranza: non la si trasmette se non la si vive. La mitezza è la fiducia profonda che si può ancora offrire ragioni serie per la speranza, quella di cui i cristiani devono sempre rendere ragione (cf. 1Pt 3,15). È questo un impegno inderogabile: è in gioco il futuro della nostra storia.
Vincenzo