Ogni volta che, nella plurisecolare storia dell’uomo, sono comparse nuove tecnologie della comunicazione, sono state accompagnate da due reazioni in qualche modo istintive. Da una parte un certo catastrofismo: quando apparve la scrittura si diceva che avrebbe cancellato la memoria umana e la sua funzione insostituibile nell’arrivare alla verità. Qualcosa di analogo avvenne poi con l’invenzione della stampa, del telefono, del cinema, la televisione, Internet, i cellulari, le reti sociali, ecc. Certo, l’impatto delle innovazioni può essere forte, ma finora non è mai stato «catastrofico» e più che cancellare le tecnologie precedenti, provoca un riassesto delle varie forme della comunicazione. Un secondo riflesso condizionato dei «primi tempi» di ogni nuova tecnologia è sempre stato quello di far concentrare gli osservatori sulla tecnica in sé, invece che sul problema di come usarla, di come «parlare» e «ascoltare» attraverso i nuovi mezzi. Le comunicazioni sociali non sono altro che un potenziamento di questa capacità primordiale dell’uomo di comunicare, e oggi come allora le dimensioni radicali della comunicazione sono quelle dell’incontro e della testimonianza, dell’autenticità e della capacità di ascolto. Quando un romanzo, un film, un prodotto tv mi convince e mi commuove, è vero che dalla parte del mittente non c’è contatto diretto con il fruitore, ma il fruitore può avere un’esperienza intima e personalissima di «incontro». Per questo le comunicazioni di massa sono così potenti: possono attivare reazioni intime e profonde in milioni, a volte miliardi di persone contemporaneamente: si tratta di un’«intimità non reciproca a distanza», ma è un’intimità che spesso tocca il cuore. In diversi Paesi mi è capitato di vedere facoltà o corsi di laurea in comunicazione che si gloriano di avere tecnologie avanzatissime, ma poi nei loro piani di studi danno una formazione tecnicistica e povera culturalmente: purtroppo hanno sbagliato strada e questo tipo di formazione avrà certamente il fiato corto. Anche nella formazione alla comunicazione è importante infatti sapere ridimensionare il ruolo della tecnologia e ricordare invece il primato delle dimensioni umanistiche (la riflessione sull’uomo, su quello che gli sta a cuore, su come attivare la comprensione, l’empatia, le emozioni, l’apertura del cuore, un dialogo vero): sì, anche nella comunicazione «tecnologizzata» delle reti sociali o addirittura in quella «di massa» dei prodotti mainstream.
Armando Fumagalli
Ordinario di Semiotica all'Università Cattolica