Il respiro europeo del meeting primaverile della stampa diocesana organizzato dalla Federazione italiana dei settimanali cattolici apre lo sguardo a una prospettiva ampia quanto l’orizzonte che si coglie a Gorizia, diocesi ospitante. La Fisc chiama al confine orientale d’Italia per l’anniversario del settimanale locale, come tradizione, ma anche perché siamo nel vivo del centenario della grande guerra – che qui ha lasciato solchi profondi – e perché alla vigilia delle elezioni per il Parlamento di Strasburgo. Così il tema dell’Europa s’impone come scenario al quale i cattolici guardano per consolidata sensibilità. Ma la terra di confine – il mondo latino e quello slavo, che a Gorizia s’intrecciano – rimanda anche il complesso scenario di transizione nel quale si muove l’informazione in tutto il mondo, rivoluzionata dall’avvento dei supporti digitali per la diffusione (spesso gratuita) di notizie a getto continuo. Che i media diocesani non siano, in questo contesto, un mondo a parte lo sa meglio di tutti il presidente della Fisc, Francesco Zanotti, direttore del Corriere Cesenate.
Presidente,l’appuntamento di Gorizia arriva in un momento di grave affanno per la stampa italiana, al quale non sono estranee le testate delle diocesi. Quale situazione vivono e come la stanno affrontando?
L’affanno che grava la stampa in Italia e nel mondo non risparmia i periodici diocesani. I cali si registrano negli abbonamenti, nella pubblicità, nelle vendite in edicola e nei contributi governativi. Ciò comporta diverse difficoltà economiche, non per tutti uguali, ma abbastanza generalizzate. Per fortuna la stampa legata la territorio tiene e i cali da noi registrati sono nettamente inferiori rispetto a ciò che succede ad altri. Ma questo non ci deve fare abbassare la guardia. Anzi, dobbiamo cercare in tutti i modi di fare ancora più rete, visto che siamo già una rete per definizione. Una rete nella Rete.
Nella storia della stampa cattolica i momenti di crisi sono sempre stati la premessa per una stagione di idee e legami nuovi con la gente e con il territorio. Cosa si affaccia all’orizzonte?
Dobbiamo evitare il pericolo del riduzionismo. Lo stiamo ripetendo da tempo: viste le difficoltà qualcuno potrebbe pensare di ridurre i nostri giornali a una specie di bollettino diocesano e confinare tutto il resto nella Rete, ritenuta erroneamente più economica. Senza la carta, anche la nostra presenza online perderebbe di autorevolezza e di legame col territorio. Internet dilata gli spazi, non li comprime. Non muta la missione: leggere la realtà, tutta la realtà, nulla escluso, alla luce del Vangelo. Era vero sul finire dell’Ottocento e rimane valido oggi. Desideriamo essere i compagni di viaggio dei nostri lettori, alla maniera dei discepoli di Emmaus. E anche come il Buon Samaritano richiamato da papa Francesco nel messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali: curare le ferite e scaldare i cuori.
I social network sono luoghi per incrociare nuovi lettori: qual è il modo per sfruttarli efficacemente?
Grazie ai social network possiamo avvicinare i giovani. Non è né facile né semplice. Nel mare della Rete è complicatissimo intercettare nuovi amici. Eppure ci dobbiamo provare. Facebook e Twitter possono diventare alleati che rilanciano e amplificano i nostri messaggi. Decisivo per noi, media della Chiesa in Italia, è la stima reciproca. Se ci richiamiamo a vicenda di certo intercetteremo più navigatori e tra questi anche i giovani. Dobbiamo stare al passo con i tempi: non possiamo rifugiarci nella nostalgia di un passato che non ritornerà o cullarci sui successi di vendite ancora forti in certe zone d’Italia. La sfida dell’innovazione digitale coinvolge, interpella e interroga tutti.
Che messaggio sta mandando il Papa a chi fa comunicazione in casa cattolica?
Mi pare che Francesco ci inviti a raccontare esperienze, a fare parlare i testimoni. Più che editoriali siamo sollecitati a narrare le storie di quelli che Giovanni Paolo II definiva i «santi del quotidiano». Per esplorare questa via dobbiamo uscire dalle redazioni e stare in strada, incontrare gente, raccogliere esperienze. E le periferie nelle quali ci invita ad andare papa Francesco sono ricche di eroicità che non fa rumore, in grado di riempire i cuori di consolazione. A questa parte del Paese dobbiamo continuare a dare voce. Penso alla famiglia, agli studenti e ai lavoratori all’estero, agli immigrati, a chi si spende accanto a un ammalato, a chi accoglie un bambino in affido, a chi dedica il proprio tempo libero per i ragazzi. Gli esempi sarebbero a centinaia. Si tratta di una schiera infinita di persone che nel silenzio dei grandi media si spende, non per buonismo, ma in virtù di un incontro decisivo per sé.
Di fronte all’emergere di sempre nuove sfide culturali (la più attuale è l’ideologia del gender) cosa occorre perché le parrocchie si rendono conto della necessità di avvicinare i credenti a strumenti di mediazione come i giornali cattolici del territorio?
Occorre essere consapevoli della posta in gioco. Non è indifferente ciò che si vede, si legge e si ascolta. La goccia che cade in continuazione incide la roccia più dura. Così è per la comunicazione: sembra neutrale, ma in realtà, e anche in maniera subdola, scava nelle menti e nei cuori, specie quelli più indifesi. Certo noi dobbiamo essere bravi, presentarci bene. Dobbiamo sempre metterci in gioco, non stancarci mai, ma avere quella sana inquietudine alla don Oreste Benzi che non fa stare mai tranquilli del tutto. Il vero, il bello, il buono ci ha raccomandato papa Francesco. La nostra strada è già tracciata.