UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

In pagina Vangelo e territorio

A Gorizia dal 3 al 5 aprile si terrà il meeting primaverile della stampa diocesana organizzato dalla Fisc. Nel vivo del centenario della gran­de guerra e alla vigilia delle elezioni per il Parlamento di Strasburgo, il tema dell’Eu­ropa s’impone. Avvenire ha intervistato il Presidente Fisc Zanotti.
1 Aprile 2014

Il respiro europeo del meeting primaverile della stampa diocesa­na organizzato dalla Federazione italiana dei settimanali catto­lici apre lo sguardo a una prospettiva ampia quanto l’orizzonte che si coglie a Gorizia, diocesi ospitante. La Fisc chiama al confine orientale d’Italia per l’anniversario del settimanale locale, come tra­dizione, ma anche perché siamo nel vivo del centenario della gran­de guerra – che qui ha lasciato solchi profondi – e perché alla vigilia delle elezioni per il Parlamento di Strasburgo. Così il tema dell’Eu­ropa s’impone come scenario al quale i cattolici guardano per con­solidata sensibilità. Ma la terra di confine – il mondo latino e quello slavo, che a Gorizia s’intrecciano – rimanda anche il complesso sce­nario di transizione nel quale si muove l’informazione in tutto il mondo, rivoluzionata dall’avvento dei supporti digitali per la diffu­sione (spesso gratuita) di notizie a getto continuo. Che i media dio­cesani non siano, in questo contesto, un mondo a parte lo sa meglio di tutti il presidente della Fisc, Francesco Zanotti, direttore del Cor­riere Cesenate.

Presidente,l’appuntamento di Go­rizia arriva in un momento di gra­ve affanno per la stampa italiana, al quale non sono estranee le te­state delle diocesi. Quale situazio­ne vivono e come la stanno af­frontando?
L’affanno che grava la stampa in I­talia e nel mondo non risparmia i periodici diocesani. I cali si regi­strano negli abbonamenti, nella pubblicità, nelle vendite in edico­la e nei contributi governativi. Ciò comporta diverse difficoltà econo­miche, non per tutti uguali, ma abbastanza generalizzate. Per for­tuna la stampa legata la territorio tiene e i cali da noi registrati sono nettamente inferiori rispetto a ciò che succede ad altri. Ma questo non ci deve fare abbassare la guardia. Anzi, dobbiamo cercare in tut­ti i modi di fare ancora più rete, visto che siamo già una rete per de­finizione. Una rete nella Rete.

Nella storia della stampa cattolica i momenti di crisi sono sempre stati la premessa per una stagione di idee e legami nuovi con la gente e con il territorio. Cosa si affaccia all’orizzonte?
Dobbiamo evitare il pericolo del riduzionismo. Lo stiamo ripeten­do da tempo: viste le difficoltà qualcuno potrebbe pensare di ridur­re i nostri giornali a una specie di bollettino diocesano e confinare tutto il resto nella Rete, ritenuta erroneamente più economica. Sen­za la carta, anche la nostra presenza online perderebbe di autore­volezza e di legame col territorio. Internet dilata gli spazi, non li com­prime. Non muta la missione: leggere la realtà, tutta la realtà, nulla escluso, alla luce del Vangelo. Era vero sul finire dell’Ottocento e ri­mane valido oggi. Desideriamo essere i compagni di viaggio dei no­stri lettori, alla maniera dei discepoli di Emmaus. E anche come il Buon Samaritano richiamato da papa Francesco nel messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali: curare le ferite e scaldare i cuori.

I social network sono luoghi per incrociare nuovi lettori: qual è il modo per sfruttarli efficacemente?
Grazie ai social network possiamo avvicinare i giovani. Non è né fa­cile né semplice. Nel mare della Rete è complicatissimo in­tercettare nuovi amici. Eppure ci dobbiamo provare. Fa­cebook e Twitter possono diventare alleati che rilanciano e amplificano i nostri messaggi. Decisivo per noi, media della Chiesa in Italia, è la stima reciproca. Se ci richiamia­mo a vicenda di certo intercetteremo più navigatori e tra questi anche i giovani. Dobbiamo stare al passo con i tem­pi: non possiamo rifugiarci nella nostalgia di un passato che non ritornerà o cullarci sui successi di vendite ancora forti in certe zone d’Italia. La sfida dell’innovazione digi­tale coinvolge, interpella e interroga tutti.

Che messaggio sta mandando il Papa a chi fa comunicazione in ca­sa cattolica?
Mi pare che Francesco ci inviti a raccontare esperienze, a fare par­lare i testimoni. Più che editoriali siamo sollecitati a narrare le storie di quelli che Giovanni Paolo II definiva i «santi del quotidiano». Per esplorare questa via dobbiamo uscire dalle redazioni e stare in stra­da, incontrare gente, raccogliere esperienze. E le periferie nelle qua­li ci invita ad andare papa France­sco sono ricche di eroicità che non fa rumore, in grado di riempire i cuori di consolazione. A questa par­te del Paese dobbiamo continuare a dare voce. Penso alla famiglia, a­gli studenti e ai lavoratori all’este­ro, agli immigrati, a chi si spende accanto a un ammalato, a chi ac­coglie un bambino in affido, a chi dedica il proprio tempo libero per i ragazzi. Gli esempi sarebbero a centinaia. Si tratta di una schiera infinita di persone che nel silenzio dei grandi media si spende, non per buonismo, ma in virtù di un incontro decisivo per sé.

Di fronte all’emergere di sempre nuove sfide culturali (la più at­tuale è l’ideologia del gender) cosa occorre perché le parrocchie si rendono conto della necessità di avvicinare i credenti a strumen­ti di mediazione come i giornali cattolici del territorio?
Occorre essere consapevoli della posta in gioco. Non è indifferente ciò che si vede, si legge e si ascolta. La goccia che cade in continua­zione incide la roccia più dura. Così è per la comunicazione: sem­bra neutrale, ma in realtà, e anche in maniera subdola, scava nelle menti e nei cuori, specie quelli più indifesi. Certo noi dob­biamo essere bravi, presentarci bene. Dobbiamo sempre metterci in gioco, non stancarci mai, ma avere quella sana inquietudine alla don Oreste Benzi che non fa stare mai tranquilli del tutto. Il vero, il bello, il buono ci ha raccomandato papa Francesco. La nostra strada è già tracciata.