UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Incontro
senza alibi

"Come rigenera­re oggi quella capacità di comunicare che così profondamente ci costi­tuisce, dato che l’essere umano è essere-in­relazione? Il messaggio per la 48ª Giornata mon­diale delle Comunicazioni sociali ci indica la via dell’incontro". Da Avvenire del 24 gennaio, Chiara Giaccardi.
24 Gennaio 2014

Nella società della comunicazione le parole rischiano l’insignifican­za, ma anche i gesti non sono pri­vi di ambiguità. Come rigenera­re allora, oggi, quella capacità di comunicare che così profondamente ci costi­tuisce, dato che l’essere umano è essere-in­relazione? Il messaggio per la 48ª Giornata mon­diale delle Comunicazioni sociali ci indica una via: quella dell’incontro. Nella comunicazione di Papa Francesco, oramai lo sappiamo, i gesti sono eloquenti, e le parole sono programmi di azione. Parole e gesti si illuminano a vicenda (si incontrano davvero), e soprattutto sono illumi­nati dalla loro comune tensione: la costruzione di prossimità. 'Incontro' è una delle parole pro­grammatiche più presenti nella Evangelii gau­dium. A partire da questa dimensione fonda­mentale dell’umano, Papa Francesco ci offre almeno tre indicazioni chiare per interpreta­re/ abitare il mondo contemporaneo, dove i media, in particolare quelli digitali, sono così pervasivamente presenti; ma, soprattutto, ci presenta un’icona sintetica del cristiano co­municatore, da meditare e dalla quale lasciarsi guidare.

Innanzitutto la comunicazione è una conqui­sta umana, non un prodotto della tecnologia. La tecnologia può facilitare od ostacolare, ma non ci determina. Non usiamola quindi come alibi o come capro espiatorio di responsabilità che sono nostre. Secondo: la comunicazione va compresa in termini di prossimità, non di tra­smissione, né di semplice accessibilità: non ba­sta 'vedere' per sentirsi prossimi. Nel villaggio globale è facile sentirsi appagati della «retorica della pietà a distanza». È solo fermandosi, fa­cendosi carico, prendendosi cura che ci si fa prossimi. Lasciandosi interpellare, commuo­­vere, toccare il cuore fino a modificare i nostri progetti per abbracciare l’altro che ci chiama. E risvegliare così la nostra umanità: l’incontro, la prossimità, l’ospitalità sono parole di recipro­cità, dove dare e ricevere sono inseparabili. Ter­zo: La testimonianza, ovvero la parola incarna­ta, porta calore e bellezza su tutte le strade, an­che quelle digitali. Il fatto che in rete il corpo non c’è non produce per forza disincarnazione delle relazioni. Se siamo capaci di accarezzare, siamo capaci anche di 'carezze digitali'. E, in­fine, la parabola del buon samaritano, che per il Papa è anche la parabola del comunicatore: chi comunica, infatti, si fa prossimo. Il sacerdote e il levita hanno mancato l’incontro. Hanno contribuito alla «globalizzazione dell’indiffe­renza ». Non fermarsi era, certo, un loro 'dirit­to'. C’è sempre una 'buona ragione', un alibi per passare oltre: le nostre urgenze, i nostri do­veri. Forse il sacerdote doveva correre al tem­pio per celebrare una funzione. Non ferman­dosi ha magari onorato il suo ruolo, ma non la sua umanità.

Vedere e agire troppo spesso sono separati. È il cuore, che si lascia toccare, a riconnetterli e a re­stituirci la pienezza della nostra umanità. Il samaritano è l’uomo intero, prima di tutto: vedendo, agisce. Poi è l’uomo veramente libe­ro: dalle classificazioni sociali (amico/nemico), dagli stereotipi. Un samaritano che soccorre un giudeo sarebbe, oggi, come un palestinese che soccorre un israeliano. La libertà che si lascia coinvolgere è la libertà della tenerezza, che si prende cura e 'ripara', anche ciò che altri han­no ferito. Una libertà per l’altro e con l’altro; ec­cedente, e con il profumo della grazia. Un’im­magine che si lascia illuminare dalle parole del­la Evangelii gaudium ( n.87): «Oggi, quando le re­ti e gli strumenti della comunicazione umana hanno raggiunto sviluppi inauditi, sentiamo la sfida di scoprire e trasmettere la 'mistica' di vi­vere insieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci, di parteci­pare a questa marea un po’ caotica che può tra­sformarsi in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegri­naggio. In questo modo, le maggiori possibilità di comunicazione si tradurranno in maggiori possibilità di incontro e di solidarietà tra tutti. Se potessimo seguire questa strada, sarebbe u­na cosa tanto buona, tanto risanatrice, tanto li­beratrice, tanto generatrice di speranza!»

Chiara Giaccardi