Fare informazione senza nascondere nulla, raccontando i fatti nella loro semplicità. È questo il tipo di giornalismo che immagina per l’Italia l’Unione cattolica della stampa italiana (Ucsi). Il messaggio è stato lanciato il 28 gennaio nella Cappella palatina della Reggia di Caserta, durante il confronto pubblico promosso all’interno del
18° Congresso nazionale dell’Ucsi concluso domenica 29 nella città campana, che per quattro giorni è diventata la «capitale italiana» dell’informazione.
Il confronto di sabato 28 è stato aperto dai saluti del presidente della Provincia Domenico Zinzi, che ha sottolineato che «Caserta non è solo terra di Gomorra» e del vescovo di Caserta, Pietro Farina, che ha evidenziato come la «credibilità dell’informazione » passi attraverso «la credibilità del giornalista», chiamato ad aver sempre presente «la vita delle persone cui si riferisce ». E alla credibilità si è rifatto anche il vescovo Mariano Crociata, segretario generale della Cei. «L’autorevolezza del giornalista è una dimensione essenziale della professione giornalistica – ha rimarcato – necessaria per essere un servizio pubblico, orientato al bene comune dell’intero Paese». Il segretario generale della Cei ha messo in luce tre «pericoli» che rischiano di rendere l’informazione «strumento d’interessi disumanizzanti ». Dapprima la «mancanza d’indipendenza economica e l’asservimento a interessi economici, culturali, politici»; in secondo luogo la «sudditanza ai modelli culturali prevalenti», dove però gli stessi media «contribuiscono in maniera decisiva a costruire la cultura dominante»; terzo, «la scomparsa, dal nostro orizzonte culturale, della questione della verità e del senso». Per camminare verso «un giornalismo al servizio del bene comune del Paese», Crociata ha indicato tre strade. Primo, «rigenerare il linguaggio», «evitare il luogo comune e trovare nuovi modi di parlare di una realtà in continuo cambiamento». Poi, «dire con coraggio la verità, a ogni costo ». Infine, essere «testimoni», «cercatori della verità, consapevoli dei propri limiti ma anche desiderosi di superarli nella comunicazione con gli altri». Alle sollecitazioni del presidente nazionale dell’Ucsi Andrea Melodia sul fare informazione in Italia hanno risposto in vario modo i tanti giornalisti intervenuti all’incontro. Dal direttore di
Avvenire, Marco Tarquinio, è arrivata la richiesta del rispetto di un’etica poiché «impastiamo i nostri racconti con la vita della gente». «L’informazione che noi facciamo – si è chiesto – è un servizio pubblico o privato? Questo è il grande quesito». Riguardo al caso del capitano della Concordia, Tarquinio ha criticato la campagna di denigrazione fatta da diversi media perché in gioco c’è la dignità di un uomo che, «se colpevole, verrà processato e condannato da un tribunale». Contro le «semplificazioni» si è scagliata pure Lucia Annunziata, giornalista ed ex presidente Rai, per la quale il giornalismo «è capacità di capire la complessità ed esprimerla con parole semplici, il che non è semplificare». Certo, le ha fatto eco il direttore del
Giornale Radio Rai, Antonio Preziosi, «bisogna capire, nel bombardamento informativo cui siamo sottoposti, quale sia l’informazione buona». Sulle esigenze di riforma dell’ordinamento professionale è intervenuto Franco Siddi, segretario della
Federazione nazionale della stampa, chiedendo «un organismo in grado di agire con efficacia immediata rispetto ai colleghi che sbagliano ». Per chi fa informazione da alcuni anni il rischio è di essere «il passato», ha messo in guardia Enrico Mentana, direttore del
Tg La7. E il presidente della Fisc, la
Federazione dei settimanali cattolici, Francesco Zanotti, ha evidenziato che «per recuperare autorevolezza bisogna fare leva sulla credibilità e sulla competenza», ricordando che si è «giornalisti per i lettori, e non per compiacere qualche potente».