UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Iraq: sui media italiani il cristianesimo non fa notizia

Un morto, due morti, cento morti. L’elenco degli atten­tati in Iraq e delle relative vit­time è lungo, terrificante e deve es­sere aggiornato quotidianamente. Se ogni tanto qualcuno di questi e­pisodi passa inosservato nelle reda­zioni dei giornali «lo si deve anche a una forma di assuefazione».
7 Maggio 2010
Un morto, due morti, cento morti. L’elenco degli atten­tati in Iraq e delle relative vit­time è lungo, terrificante e deve es­sere aggiornato quotidianamente. Se ogni tanto qualcuno di questi e­pisodi passa inosservato nelle reda­zioni dei giornali «lo si deve anche a una forma di assuefazione». Una tri­ste assuefazione, spiega l’editoriali­sta ed ex vicedirettore del Corriere della Sera Pierluigi Battista. Eppure per quel che riguarda le notizie rela­tive ad ammazzamenti di cristiani in giro per il mondo potrebbe esserci qualcosa di diverso. E se in questi ca­si, afferma il direttore del Messagge­ro Roberto Napoletano «la voce di un Papa e quella della Chiesa resta­no isolate c’è veramente da preoc­cuparsi».
Tanta preoccupazione la desta il fat­to che, anche martedì 4, la notizia di do­menica 2 sul massacro di studenti cri­stiani sulla strada di Mosul in Iraq non abbia prodotto più di qualche ri­ga di agenzia, e solo per rilanciare l’appello di Benedetto XVI. Niente ti­toli sui giornali e nulla sui Tg.
Non è nemmeno stata rilanciata dal­le agenzie (e dunque  sulla stam­pa quotidiana non esisterà) la noti­zia di un ampio e interessante con­fronto alla Camera sull’argomento, suscitato martedì 4 maggio da un’interrogazione di Pierluigi Castagnetti, alla quale ha replicato il sottosegretario agli Este­ri Alfredo Mantica. Nel dibattito è stato lo stesso esponente del Pd a sottolineare come la stampa italiana, «ad eccezione di Avvenire», non ab­bia parlato del drammatico episo­dio di Mosul. Un silenzio che il direttore del Tem­po, Mario Sechi, fa scaturire da una sostanziale indifferenza degli ope­ratori della comunicazione nei ri­guardi dell’opinione dei cattolici i­taliani. «Si pensa che nella nostra so­cietà contino poco e che, tutto som­mato, siano distratti o poco interes­sati a questi argo­menti». Secondo Battista, che a gen­naio si è trovato a scrivere un editoria­le in seguito al mas­sacro di un gruppo di cristiani copti sul sagrato della loro chiesa in Egitto, si tratta di «un grande tabù che non ri­guarda solo l’Italia ma l’Europa intera». Una questione di «sensibilità di chi si occupa della formazione dell’opi­nione pubblica, dove gioca un ruo­lo importante il senso di colpa di cer­ta cultura terzomondista che si è af­fermata in Occidente». Oltre al «dop­piopesismo tipico di certi ambienti pronti, invece, a fare campagne me­diatiche per gli appelli del Dalai La­ma sulla repressione in Tibet...». Nei fatti, invece, «il resoconto della cri­stianofobia nel mondo è impressio­nante e nel condividere lo spirito del­l’appello del Papa, comprendo la prudenza con la quale la Chiesa si deve muovere per non peggiorare la situazione di tanti cristiani nel mon­do ». Una prudenza che, stando a molti osservatori, sarebbe controprodu­cente rispetto al risultato mediatico. Ne sono convinti il direttore del Mat­tino di Napoli, Virman Cusenza e quello del Foglio Giuliano Ferrara. Secondo quest’ultimo «la tutela dei cristiani richiederebbe ben altra vee­menza da parte della Chiesa». In­somma, «c’è timidezza, quando in­vece bisognerebbe fare di questo ar­gomento un grande tema di dibatti­to internazionale. Se dobbiamo a­spettare che i media rilancino spon­taneamente questi argomenti stia­mo freschi. Loro si occupano di pe­dofilia...». Un approccio polemico che trova in Sechi una sponda immediata: «Og­gi i cristiani sono sottoposti a un doppio attacco. Nei Paesi fonda­mentalisti subiscono la violenza e la repressione fisica. In Occidente vie­ne sempre più spesso impedito loro di essere presenti nella società col contributo delle idee. E se da una parte fa impressione il silenzio dei media e delle classi dirigenti, dal­­l’altra impressiona la complicità del­l’establishment secolarizzato e rela­tivista». Anche per Napoletano, del resto, «è grave che l’Europa taccia e non mo­stri sensibilità, perché la linea del dialogo e del confronto fra le civiltà è obbligata». Una sensibilità che do­vrebbe riguardare, ancor prima, le re­dazioni di tg e gior­nali. E che sia que­stione di sensibilità lo sostiene Virman Cusenza: «Molto per me è cambiato da quando nel gennaio scorso ho assistito a Roma a una manife­stazioni di copti per il massacro in Egit­to. Era la richiesta di aiuto di un popolo. A manifestare c’erano le famiglie, perché a morire e a rischiare ogni giorno, come te­stimoniavano le fotografie portate in processione, sono le donne, i bam­bini... E noi liquidiamo questi epi­sodi come le solite diatribe religiose».