Un morto, due morti, cento morti. L’elenco degli attentati in Iraq e delle relative vittime è lungo, terrificante e deve essere aggiornato quotidianamente. Se ogni tanto qualcuno di questi episodi passa inosservato nelle redazioni dei giornali «lo si deve anche a una forma di assuefazione». Una triste assuefazione, spiega l’editorialista ed ex vicedirettore del Corriere della Sera Pierluigi Battista. Eppure per quel che riguarda le notizie relative ad ammazzamenti di cristiani in giro per il mondo potrebbe esserci qualcosa di diverso. E se in questi casi, afferma il direttore del Messaggero Roberto Napoletano «la voce di un Papa e quella della Chiesa restano isolate c’è veramente da preoccuparsi».
Tanta preoccupazione la desta il fatto che, anche martedì 4, la notizia di domenica 2 sul massacro di studenti cristiani sulla strada di Mosul in Iraq non abbia prodotto più di qualche riga di agenzia, e solo per rilanciare l’appello di Benedetto XVI. Niente titoli sui giornali e nulla sui Tg.
Non è nemmeno stata rilanciata dalle agenzie (e dunque sulla stampa quotidiana non esisterà) la notizia di un ampio e interessante confronto alla Camera sull’argomento, suscitato martedì 4 maggio da un’interrogazione di Pierluigi Castagnetti, alla quale ha replicato il sottosegretario agli Esteri Alfredo Mantica. Nel dibattito è stato lo stesso esponente del Pd a sottolineare come la stampa italiana, «ad eccezione di Avvenire», non abbia parlato del drammatico episodio di Mosul. Un silenzio che il direttore del Tempo, Mario Sechi, fa scaturire da una sostanziale indifferenza degli operatori della comunicazione nei riguardi dell’opinione dei cattolici italiani. «Si pensa che nella nostra società contino poco e che, tutto sommato, siano distratti o poco interessati a questi argomenti». Secondo Battista, che a gennaio si è trovato a scrivere un editoriale in seguito al massacro di un gruppo di cristiani copti sul sagrato della loro chiesa in Egitto, si tratta di «un grande tabù che non riguarda solo l’Italia ma l’Europa intera». Una questione di «sensibilità di chi si occupa della formazione dell’opinione pubblica, dove gioca un ruolo importante il senso di colpa di certa cultura terzomondista che si è affermata in Occidente». Oltre al «doppiopesismo tipico di certi ambienti pronti, invece, a fare campagne mediatiche per gli appelli del Dalai Lama sulla repressione in Tibet...». Nei fatti, invece, «il resoconto della cristianofobia nel mondo è impressionante e nel condividere lo spirito dell’appello del Papa, comprendo la prudenza con la quale la Chiesa si deve muovere per non peggiorare la situazione di tanti cristiani nel mondo ». Una prudenza che, stando a molti osservatori, sarebbe controproducente rispetto al risultato mediatico. Ne sono convinti il direttore del Mattino di Napoli, Virman Cusenza e quello del Foglio Giuliano Ferrara. Secondo quest’ultimo «la tutela dei cristiani richiederebbe ben altra veemenza da parte della Chiesa». Insomma, «c’è timidezza, quando invece bisognerebbe fare di questo argomento un grande tema di dibattito internazionale. Se dobbiamo aspettare che i media rilancino spontaneamente questi argomenti stiamo freschi. Loro si occupano di pedofilia...». Un approccio polemico che trova in Sechi una sponda immediata: «Oggi i cristiani sono sottoposti a un doppio attacco. Nei Paesi fondamentalisti subiscono la violenza e la repressione fisica. In Occidente viene sempre più spesso impedito loro di essere presenti nella società col contributo delle idee. E se da una parte fa impressione il silenzio dei media e delle classi dirigenti, dall’altra impressiona la complicità dell’establishment secolarizzato e relativista». Anche per Napoletano, del resto, «è grave che l’Europa taccia e non mostri sensibilità, perché la linea del dialogo e del confronto fra le civiltà è obbligata». Una sensibilità che dovrebbe riguardare, ancor prima, le redazioni di tg e giornali. E che sia questione di sensibilità lo sostiene Virman Cusenza: «Molto per me è cambiato da quando nel gennaio scorso ho assistito a Roma a una manifestazioni di copti per il massacro in Egitto. Era la richiesta di aiuto di un popolo. A manifestare c’erano le famiglie, perché a morire e a rischiare ogni giorno, come testimoniavano le fotografie portate in processione, sono le donne, i bambini... E noi liquidiamo questi episodi come le solite diatribe religiose».