UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

La “galassia di vetro” che insidia i giornali di carta

La notizia non convincerà gli “smanettoni” del Web ma, in un mondo che sta plasmando le nuove frontiere dell’informazione, il punto di partenza è che «a dettare direzione e ritmo del cammino, in ultima analisi, non dovrà essere la tecnologia ma l’antropologia».
11 Giugno 2010
La notizia non convincerà gli “smanettoni” del Web, i moderni dandy iper tecnologici che si abbeverano al mito di Google e di Apple, o chi considera la Rete l’incarnazione (ovviamente perfetta) della democrazia moderna. Ma in un mondo che sta plasmando le nuove frontiere dell’informazione, il punto di partenza è che «a dettare direzione e ritmo del cammino, in ultima analisi, non dovrà essere la tecnologia ma l’antropologia».
Massimo Gaggi, inviato del «Corriere della Sera» a New York, e Marco Bardazzi, giornalista de «La Stampa» e per 9 anni corrispondente dell’«Ansa» negli Stati Uniti, non sono due luddisti del 21esimo secolo allergici all’evoluzione dei media.
Tutt’altro. Si muovono a loro agio fra tecnologia e multimedialità. Ne conoscono il linguaggio e le potenzialità ma non ne restano travolti.
Scorrendo le pagine del loro L’ultima notizia. Dalla crisi degli imperi di carta al paradosso dell’era di vetro  (Rizzoli), il lettore ne esce confortato, sollevato e persino esaltato dalle prospettive che attendono il mondo dei media. Gli autori snocciolano dati e li analizzano in modo acuto, raccontano aneddoti e storie, descrivono situazioni scegliendo punti di osservazione poliedrici.
Smontano miti, come quello dei blogger cacciatori di notizie che in realtà nel 95% dei casi sono prese (“linkate”) dai siti Web delle grandi testate; e lanciano moniti agli stessi giornalisti chiamati a «cambiare pelle per sopravvivere nel mondo dell’informazione» al tempo del Web. E agli editori, incappati agli albori di Internet nell’illusione di poter vivere di introiti pubblicitari e ora costretti, sotto la spinta del magnate australiano Rupert Murdoch, a imporre un balzello per l’accesso ai giornali e agli articoli on-line.
“Social network” come Facebook e Twitter, blog, aggregatori di notizie, iPad, Kindle, sono solo la punta dell’iceberg della rivoluzione che l’informazione sta vivendo. Ma come ogni grande cambiamento, nella fase di transizione la dialettica fra luci e ombre è dominante.
Perché se nei prossimi anni il quotidiano cartaceo come lo conosciamo oggi sarà un lusso per le élite, non è ancora così evidente a cosa il cittadino si appoggerà per informarsi. Né come pubblicitari ed editori si muoveranno. Né quali saranno i contraccolpi politici se solo pensiamo a come la rivolta in Iran è stata veicolata tramite Twitter. Scrivono gli autori: «Gutenberg va in pensione lasciando spazio non a un successore definito, ma a un magma ribollente di tecnologie digitali e di nuovi modelli informativi».
Di sicuro il futuro sarà multipiattaforma e l’informazione on-line non più totalmente gratuita, sostengono Gaggi e Bardazzi.
Il modello del “tutto free” non potrà che tramontare. Gli editori non hanno scelta dinanzi al crollo delle entrate dalla pubblicità. E pure i giornalisti dovranno adeguarsi ai cambiamenti. Dovranno saper fondere digitale e cartaceo ed essere capaci di saltare da una piattaforma all’altra. Ma soprattutto il giornalismo sarà destinato all’irrilevanza se perderà di vista la sua stessa natura, quella di essere organizzato e orientato «alla promozione e al rispetto di una certa immagine di persone e del bene comune». Sta qui il primato dell’antropologia sulla tecnologia. Perché se «l’informazione del futuro è già pronta a risorgere da ceneri tutt’altro che spente», ci vuole comunque qualcuno che la guidi tenendo bene impressa nella mente l’idea stessa di uomo.