UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

La penna nella piaga

Una struttura anonima, senza numero civico, senza insegne. All’interno di una ex fabbrica di spazzole, nel 15° arrondissement di Parigi, si trova la “Maison des journalistes”, una struttura unica al mondo che accoglie giornalisti perseguitati. Gente che nonostante tutto continua a mettere... "la penna nella piaga". 
28 Maggio 2013
Una struttura anonima, senza numero civico, senza insegne. All’interno di una ex fabbrica di spazzole, nel 15° arrondissement di Parigi, si trova la “Maison des journalistes” (www.maisondesjournalistes.org), una struttura unica al mondo che accoglie giornalisti perseguitati. Nata nel 2002 per intuizione di due giornalisti francesi, Daniel Ohayon e Philippe Spinau, la Maison offre ospitalità e assistenza ai giornalisti rifugiati in Francia e in fuga dal proprio Paese. Dall’anno della sua fondazione, sono oltre 250 i giornalisti provenienti da 53 Paesi del mondo ad essere stati accolti nella struttura che, grazie ai finanziamenti del Fondo europeo per i rifugiati, del Comune di Parigi e dei numerosi media partners, mette a disposizione dei suoi ospiti una camera, buoni pasto, corsi di lingua francese ma soprattutto la possibilità, lontano dalle persecuzioni, di continuare a esercitare il proprio mestiere.

Mettere la penna nella piaga. “L’idea è nata da una semplice constatazione: spesso i giornalisti perseguitati arrivano in Francia, in un Paese che non hanno scelto, con un’altra cultura, un’altra lingua, e molte volte si ritrovano a vivere per strada. Bisognava trovare una struttura per loro”. Darline Cothière, direttrice della Maison des journalistes, così racconta la necessità che ha portato alla fondazione dell’organizzazione, una vera e propria “casa per giornalisti”. “Ciò che differenzia la Maison da qualsiasi altra struttura d’accoglienza per rifugiati - spiega Cothière - è la ragione per la quale queste persone sono perseguitate: non solo perché si sono opposte a un regime che non riconosce la libertà di espressione, ma semplicemente perché hanno esercitato il loro mestiere, quello di informare, perché hanno presentato la realtà così come è, mettendo ‘la penna nella piaga’”. Al momento la struttura accoglie 11 giornalisti, vignettisti, fotografi. Siria, Iran, Bangladesh, Mali alcuni dei Paesi di provenienza. Arrivano alla Maison grazie a segnalazioni di enti religiosi, dell’Ufficio francese per la protezione dei rifugiati e degli apolidi (Ofpra) o dell’organizzazione internazionale “Reporters without borders”. Una volta in Francia comincia per loro il lungo iter per ottenere lo status di rifugiato. Nel 2012 sono state 61.468 le domande di protezione arrivate all’Ofpra, dati che fanno della Francia il secondo Paese europeo dopo la Germania per numero di richiedenti asilo. “La prima necessità per loro - chiarisce Cothière - come per tutti i richiedenti asilo, è un aiuto per inserirsi nella nostra società, essere accompagnati nei vari uffici per le richieste di protezione o per l’iscrizione al collocamento, cioè per sapere quali sono i loro diritti e i loro doveri”.

I progetti. “È un grande sollievo per loro arrivare alla Maison e incontrare giornalisti che hanno vissuto le stesse esperienze, lo stesso percorso, e con i quali possono confrontarsi”, ammette la direttrice Cothière. Uno degli obiettivi perseguiti dalla Maison è quello di offrire la possibilità a questi giornalisti di “continuare a sentirsi utili per il proprio Paese”. Per questo l’intento è di avviare progetti formativi e informativi. Uno di questi è “L’oeil de l’exilé”, un periodico di informazione pubblicato dalla Maison e realizzato dai residenti della casa. Nonostante i numerosi partner tra i media non solo francesi che sostengono economicamente la struttura, il periodico è momentaneamente sospeso per mancanza di fondi. Di recente attuazione è invece il progetto “Renvoyé spécial”, attraverso il quale i giornalisti rifugiati sono invitati a raccontare la propria esperienza agli studenti delle scuole. “Parlare ai giovani - spiega Cothière - è un’operazione concreta d’informazione e sensibilizzazione sul tema della libertà di stampa: è un’esperienza pedagogica che può far cambiare la visione di valori spesso acquisiti, come la democrazia o la libertà d’espressione, su cui invece bisogna vigilare perché fragili non solo in Paesi lontani da noi”.

Scrivere nonostante la paura. Per motivi di sicurezza la “Maison des journalistes” non è aperta al pubblico, anche se molti dei giornalisti rifugiati, come ci raccontano, “non temono di rendere pubblico il proprio nome e di far sapere di essere ancora in attività”. Come Reza, 33 anni, fotoreporter, che nel 2010 è arrivato in Francia dal sud dell’Iran attraversando a piedi le montagne del Kurdistan iracheno. Dopo aver dormito in strada per quattro mesi, è arrivato alla Maison grazie alla segnalazione di “Reporters without borders”. “Non ho scelto la Francia - racconta - era l’unico Paese insieme alla Germania con un’ambasciata in Kurdistan”. Alcuni di loro sono tutt’oggi minacciati e vivono nell’anonimato. Uno di loro, che non può rivelare il nome, è scappato dall’Iran otto mesi fa. Fino al 2009 era corrispondente di un’emittente araba. “Dal 2005 sono stato arrestato più volte. L’ultima volta, quando sono piombati in casa con la forza, ho capito che dovevo lasciare l’Iran”. Ha attraversato a piedi in soli 20 giorni la Turchia, la Grecia, l’Italia, e passando per la Danimarca è arrivato in Francia. “Poche settimane fa - racconta - ho ricevuto una telefonata dalla mia famiglia. Il governo le ha ordinato di chiedermi di smettere di scrivere. Non è difficile per loro trovarmi e uccidermi”. Nonostante il pericolo, continua a scrivere di diritti umani sotto falso nome, creando ogni volta un nuovo account di posta elettronica. “Amo il mio lavoro - ammette - amo aiutare le persone, parlare dei diritti dell’uomo. Posso continuare a farlo, anche non dando il mio nome”.

a cura di Marta Fallani
(www.agensir.it)