UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

L'amicizia è un medium (per il messaggio della pubblicità…)

In uno degli ultimi numeri dell’Internazionale si può leggere un lungo articolo, veramente interessante, dal titolo “Il mio amico Facebook”. Mi colpisce sempre l’ipersemplificazione del modo americano di ragionare, e la totale assenza di problematizzazione rispetto a una serie di questioni di fondamentale rilevanza antropologica e sociale.
1 Luglio 2010
In uno degli ultimi numeri dell’Internazionale (http://www.internazionale.it/sommario/) si può leggere un lungo articolo, veramente interessante, dal titolo “Il mio amico Facebook”. Oltre a fornire una serie di dati che è sempre bene avere presente (in soli sei anni di esistenza FB sta per raggiungere i 500 milioni di iscritti, quindi se fosse uno stato sarebbe il terzo più popoloso del mondo; dal 2006 si possono iscrivere anche i ragazzi che hanno compiuto 13 anni, ma è noto che gli 11enni si iscrivono barando sull’età; nei primi tre mesi del 2010 FB ha mostrato ai suoi utenti 176 miliardi di annunci pubblicitari), l’articolo, che è tratto dal Time, è sconcertante per le dichiarazioni di Mark Zuckerberg, e di alcuni suoi collaboratori, che vengono riportate. Mi colpisce sempre l’ipersemplificazione del modo americano di ragionare, e la totale assenza di problematizzazione rispetto a una serie di questioni di fondamentale rilevanza antropologica e sociale. In questo articolo si trovano almeno due affermazioni, disarmanti nel loro candore, ma anche indicative del vuoto culturale del mondo occidentale contemporaneo. La prima è “stiamo costruendo una rete in cui il default è sociale”. Se uno dei guru della rete si pronuncia in questo modo, identificando in maniera aproblematica connessione e relazione, accesso ai profili e socialità e anzi, ancora più gravemente, definendo la socialità come un “effetto” automatico della connessione, credo ci siano gravi motivi di preoccupazione.
La seconda affermazione è di un manager del gruppo Facebook, ed è relativa alla possibilità di sfruttamento commerciale delle reti di contatti, viste come contesti da sfruttare per inserzioni pubblicitarie mirate. Cito: “Se tre dei nostri amici cliccano ‘mi piace’ sul sito di una certa marca di pizza, presto potremmo trovarci un annuncio con i loro nomi che ci consigliano di provarla. E’ un tipo di pubblicità basato sull’influenza del gruppo. Sandberg e gli altri manager di Facebook sanno bene quanto conta il contesto per vendere un prodotto, e pochi contesti funzionano come quello dell’amiciza” (Internazionale 849, 4 giugno 2010, p. 39).
Non è un problema, quindi, che l’amicizia diventi un medium su cui far passare il messaggio pubblicitario, nell’ottica della strumentalizzazione, a fini economici, di ogni dimensione dell’umano:  è la specialità del nostro tempo.
E’ giusto che i genitori si preoccupino degli eventuali contatti con sconosciuti pericolosi attraverso i social network, specie quando i figli sono minori; ma è estremanente pericolosa e distruttiva anche la pedagogia implicita che, con grande leggerezza e una punta di soddisfazione, passa attraverso la gestione della rete come ambiente di relazioni (strumentalizzabili): è il “nichilismo sorridente” che distrugge, sotto i nostri occhi miopi e con il nostro superficiale consenso, le condizioni di una vita umana.