UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Latouche: “Aiuto! L'ebook divora i libri”

Per il teorico della decrescita, ospite alla Scuola dei librai di Venezia il 29 gennaio, «on line c’è robaccia che nessuno stamperebbe. C’è il rischio che la scomparsa del libro cartaceo faccia venir meno la forza del sapere, l’unica capace di arginare il collasso della nostra civiltà»
29 Gennaio 2010
«Sono sempre più pessimista. Ha ragione Woody Allen quando dice che il pessimista è più informato dell’ottimista. Oggi la cultura digitale non aiuta la gente a prender coscienza dei rischi che corre il pianeta». Serge Latouche, professore emerito di Scienze economiche all’Università di Parigi Sud, è conosciuto come il guru della decrescita. Nemico giurato del capitalismo, da anni tuona contro un modello di crescita illimitata di consumi che a suo giudizio impoverisce il pianeta e aumenta le distanze tra Nord e Sud del mondo. Anche nel suo ultimo libro in uscita, L’invenzione dell’economia (Bollati Boringhieri, pagine 258, euro 18,00), Latouche ribadisce le sue critiche a un Occidente in preda a una vera ossessione produttiva e utilitarista che sacrifica i legami sociali. E anche lo sviluppo delle nuove tecnologie digitali legate al libro non lo convincono affatto, come spiegherà oggi alla fondazione Giorgio Cini a Venezia, concludendo il pomeriggio del XXVII Seminario di perfezionamento della Scuola per librai Umberto ed Elisabetta Mauri sul tema 'Crisi dell’editoria e/o crisi di civiltà'. 
 Professore perché è scettico sulle possibilità introdotte dai libri elettronici? 
 «In teoria potranno senz’altro contribuire alla diffusione della cultura. Ma favoriscono la mediocrità: tutti così avranno la possibilità di pubblicare i loro deliri… Già oggi non c’è più selezione da parte di editori e librai e abbiamo un’invasione di contenuti discutibili. C’è il rischio che con la scomparsa del libro cartaceo venga meno la forza della cultura di arginare il collasso della nostra civiltà: se non usciamo da una logica capitalistica la crisi finanziaria insieme all’esaurimento delle risorse naturali (come petrolio e acqua) e i preoccupanti cambiamenti climatici saranno fatali». 
 Lei pensa davvero che il libro cartaceo possa sparire? 
 «Non lo so. Ma ormai la strada mi sembra segnata. Faccio parte del comitato di redazione di alcune riviste, e cerchiamo anche noi di digitalizzarle. Però non si legge una rivista digitale come quella di carta dove puoi tornare indietro, sottolineare. Ora si tende a leggere velocemente, a sorvolare più che a meditare sui testi. E c’è la corsa a mettere on line materiale che se ben ponderato non verrebbe stampato. Oggi c’è una forma di schizofrenia nel ricorrere alla digitalizzazione». 
 In che senso? 
 «C’è quasi un’ossessione nel voler produrre sempre oggetti nuovi come i lettori digitali. Possono senz’altro avere effetti positivi. Ma non mi pare che manchi l’accesso alla cultura oggi. Ci sono biblioteche sterminate che purtroppo vengono raramente consultate. È tipico della società della crescita produrre sempre cose fantastiche ma di cui non si ha effettivo bisogno. Io sono un nostalgico, lo ammetto, uso poco anche internet. È uno strumento formidabile, ma non mi rende più felice. Anzi mi ruba tempo per leggere e scrivere libri». 
 Eppure l’evoluzione delle tecnologie digitali può senz’altro favorire un’informazione migliore e più libera. Non crede? 
 «Certo. Però non avviene. Ho sempre pensato che fosse uno dei vantaggi di internet quello di evadere la censura, ma oggi vedo che non è così. I media stessi sono monopolizzati da grandi imprese economiche e finanziati dalla pubblicità delle multinazionali. Queste oligarchie di potere, che condizionano spesso anche i governi, colonizzano l’immaginario collettivo manipolando le informazioni sulle minacce che corre la Terra. Anche l’università, le istituzioni scolastiche non sono in grado di invertire la rotta. In questo senso la crisi della cultura è un segno della crisi globale». 
 L’ecologismo negli ultimi tempi ha lanciato anche falsi allarmismi. Non le sembra di essere un po’ catastrofista? 
 «L’Occidente ha una storia fantastica. Pensiamo solo al Rinascimento. Negli ultimi secoli però ha esportato un paradigma capitalista che ha partorito una società della crescita sconsiderata dei consumi. Con gravi danni all’ecologia, perché le risorse del pianeta non sono illimitate. Se parlo del surriscaldamento globale che determinerà una forte emigrazione dal Sud del mondo lo faccio sulla base di analisi scientifiche. Ma l’economia ha fagocitato soprattutto la società producendo una mercificazione del mondo, dove nulla ha più valore e tutto ha un prezzo. E tutte le relazioni umane sono valutate sulla base dell’utilità e della produttività». 
 In che modo la cultura può generare un cambiamento? 
 «C’è bisogno di una nuova consapevolezza. Occorre prendere atto che l’economia globalizzata e consumista ha distrutto i legami sociali esaltando la concorrenza e la competizione. Sta scardinando perfino la famiglia che è alla base della società. Il risultato è un supermercato mondiale che erode anche la dimensione interiore dell’uomo. Se riconosceremo questa forma di totalitarismo soft, riscopriremo la gioia di vivere, i valori tradizionali della religione, il rispetto per l’ambiente, la sobrietà, la solidarietà. E l’uomo potrà vivere in armonia con la natura e con gli altri».
 

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