Chili di carta sui banchi di Montecitorio. Di carta stampata. È successo mercoledì della scorsa settimana, quando anche noi della Fisc, la Federazione italiana settimanali cattolici, (con me c’era la vice presidente Chiara Genisio) assieme ad altre sigle del comparto, siamo stati ricevuti in audizione dalla Commissione cultura della Camera dei Deputati. All’ordine del giorno c’era una proposta di legge sull’abolizione del finanziamento pubblico all’editoria. Ma torniamo ai chili di carta. Non è stata la prima volta dei nostri giornali sugli scranni del Parlamento. Li avevamo portati anche due anni fa. Ma questa volta, complice anche un azzeccato titolo dell’agenzia Sir, mi pare che il fatto abbia avuto tutt’altro rilievo. Sì, perché un conto è dire di voler togliere un sostegno a certa stampa che molti definiscono assistita, un altro è toccare con mano quei «fogli» che fogli non sono, ma in realtà da lunghissimo tempo sono le voci e danno voce al territorio.
Non si può ragionare solo per slogan. Rifiuto questo modo di agire. Allora, ci siamo chiesti, sono questi i giornali che costituiscono la famosa casta? Sono questi i giornali che dovrebbero vivere di sostanze proprie ed essere regolati dalle leggi della domanda e dell’offerta? È questo che si vuole? Il mercato da solo può garantire più presenze in edicola? È sufficiente per il pluralismo? La democrazia informativa si può considerare un bene commerciale?
No, non può essere così, abbiamo detto con i chili di giornali in mano e sui banchi davanti ai parlamentari e al sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega per l’Editoria, Luca Lotti. «I bilanci pubblici – abbiamo ribadito con decisione – non si realizzano solo con i numeri, ma anche con quell’apporto di idee che emerge da un confronto franco e serrato fra più soggetti liberi di esprimersi ». Si deve uscire dall’unica logica economica. Esiste anche la vasta trama di rapporti che la carta stampata favorisce. Un bene immateriale che sfugge ai conti del dare e dell’avere, ma contribuisce alla crescita del dibattito culturale altrimenti appiattito su limitati e ripetitivi argomenti. Infine ci siamo chiesti che cosa accade in certi Paesi quando avviene un rovesciamento di regime. Quali posti vengono occupati per primi? Quali mezzi vengono controllati? E se le risposte sono fin troppo ovvie (tv, radio, giornali), le conseguenze risultano evidenti per tutti noi. Togliere risorse fondamentali, anche se ormai sono «briciole di briciole» visti i continui e indiscriminati tagli lineari avvenuti negli ultimi anni, equivale a decretare la fine di mezzi di informazione (locali, regionali, nazionali) che garantiscono il pluralismo. Non parliamo più di costi, quindi, ma di investimenti in favore della collettività i cui ritorni si realizzano in un di più di democrazia, un valore non quantificabile in termini numerici, ma di certo inestimabile.
Francesco Zanotti
* Presidente Fisc