UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Media e minori: in Sardegna: giornalisti, magistrati e operatori sociali hanno dato vita a un osservatorio regionale

Gabriele ha commesso un crimine quando era minorenne, nel suo paese, con alcuni complici. Scontata la pena oggi vive nella comunità di reinserimento "La Collina", a Serdiana, vicino Cagliari. Gabriele lavora ma, dopo l'assassinio dei suoi coimputati, un quotidiano sardo ha rilanciato il suo nome e cognome, adesso è maggiorenne. Ed oggi al lavoro lo guardano con diffidenza, ha paura, è stato identificato tramite l'articolo, può essere in pericolo e vuole andar via dalla Sardegna, dove nessuno lo possa riconoscere, dove il suo nome non sia collegato al suo passato.
16 Ottobre 2008

Gabriele ha commesso un crimine quando era minorenne, nel suo paese, con alcuni complici. Scontata la pena oggi vive nella comunità di reinserimento "La Collina", a Serdiana, vicino Cagliari. Gabriele lavora ma, dopo l'assassinio dei suoi coimputati, un quotidiano sardo ha rilanciato il suo nome e cognome, adesso è maggiorenne. Ed oggi al lavoro lo guardano con diffidenza, ha paura, è stato identificato tramite l'articolo, può essere in pericolo e vuole andar via dalla Sardegna, dove nessuno lo possa riconoscere, dove il suo nome non sia collegato al suo passato. La sua storia l'ha narrata lui stesso durante il convegno "Diritto di cronaca e tutela dei più deboli" che l'11 ottobre, a Cagliari, ha visto la nascita dell'Osservatorio "media e minori" della Sardegna. Nasce dalla volontà congiunta dell'Ordine dei giornalisti regionale, del Tribunale dei minori di Cagliari, dell'associazione Stampa sarda e della comunità "La Collina".

Prima di tutto la persona. Don Ettore Cannavera, responsabile della comunità "La Collina", sottolinea che "l'esperienza di Gabriele è emblematica: deve andarsene dalla Sardegna perché l'informazione lo ha etichettato, gli ha messo lo stigma di un brutto reato. Scrivere o meno un nome fa differenza, lui oggi torna da lavoro con difficoltà, con la paura dell'essere riconosciuto: ora che è stato identificato può essere facilmente trovato e colpito e questo perché la stampa non è stata attenta alle conseguenze. La stampa deve essere più attenta perché in ogni azione che metto in essere da giornalista debbo sempre mettere al primo posto il bene della persona. È la persona al centro di tutto, anche nel dare l'informazione devo usare il criterio del sapere che c'è una persona di cui parlo e altri che leggono. Che effetto suscita? Debbo essere responsabile di questo effetto, non posso dare la notizia e lavarmene le mani. Debbo fermarmi e chiedermi dove arriva la notizia che fa opinione". Per don Cannavera, che è anche cappellano del carcere minorile di Cagliari, "il giornalista deve essere consapevole del suo ruolo sociale. È un ruolo di formatore dell'opinione pubblica, delle coscienze. Chi scrive deve essere formato ad una coscienza civile di attenzione a quelli più deboli come lo è a quelli più forti. Quando parlano di uno più forte si fa molta attenzione. Un popolo che non ha voce deve trovarla nel giornalista. Quando si parla di un reato fatto o subito da un ragazzo bisogna porre gli interrogativi agli adulti che hanno responsabilità. Ciò nasce dalla e nella coscienza del giornalista che deve guardare oltre la notizia. Nel totale rispetto della persona".

Informarsi per informare. "Ci siamo resi conto che le segnalazioni che arrivavano all'Ordine e le nostre risposte, erano condizionate molto dalle pratiche burocratiche, i tempi erano sempre molto lunghi - dice Filippo Peretti, presidente dell'Ordine dei giornalisti della Sardegna - e quella vicenda, che poteva anche sfuggire all'Ordine perché se ne parlava in un piccolo giornale, o in una pagina interna, senza grande evidenza, nel frattempo veniva trattata più e più volte, facendo molti danni". Dopo i contatti presi con il Tribunale dei minori di Cagliari, con la comunità "La Collina", con l'Assostampa, "abbiamo visto che un approccio informale cui far seguire gli atti più formali, poteva essere utile - dice il presidente -. Abbiamo sperimentato - già prima della nascita ufficiale dell'Osservatorio - che è uno strumento efficace. In un caso, abbiamo evitato che, sull'onda di informazioni uscite sulla stampa, altri si buttassero sulla notizia con la pubblicazione di nomi, dati. Arrivata la segnalazione è stata fatta una nota a tutte le redazioni perché si attenessero ai vincoli delle nostre norme deontologiche. Un altro aspetto è che sia l'Ordine con l'opera di vigilanza sia il Tribunale e la comunità abbiamo riscontrato che molti errori vengono commessi per superficialità, per sottovalutazione, assoluta non conoscenza delle ricadute delle notizie pubblicate". Nella professione non si possono sottovalutare le conseguenze di un soprannome, di una caratteristica fisica, dell'ambito abitativo, e in Sardegna anche in ragione del gran numero di piccoli centri: "Non ci si può nascondere dietro un non sapevo, non pensavo, non credevo - prosegue Peretti - mentre dobbiamo sempre informarci su ciò che facciamo. Questo Osservatorio servirà a rafforzare oltre alla vigilanza anche quella politica di persuasione che abbiamo messo in pratica: più che sanzionare preferisco convincere, passare dall'obbligo alla consapevolezza di questa cultura etica che spesso viene sottovalutata".

a cura di Massimo Lavena (Sir)