Non si può riflettere, specialmente in questa fase, di missioni “ad gentes” senza un riferimento al Concilio e all’Anno della fede. Quali spinte possono derivare da una vera ricezione del Vaticano II in questo ambito della vita della Chiesa? Quali i suggerimenti derivanti dall’Anno della fede?
“L’Anno della fede e il cinquantesimo del Concilio interpellano tutta la Chiesa a tutte le latitudini. Il tema della nuova evangelizzazione è un’occasione di riflessione e impegno non solo per le comunità cristiane ormai esigue della vecchia Europa sempre più scristianizzata, ma anche per le giovani Chiese, in parte ancora missionarie, dove accanto alla prima evangelizzazione si pone già il problema di approfondire la fede”.
Quali sono, a suo avviso, le regioni in cui i missionari trovano maggiori ostacoli nel loro servizio di evangelizzazione? Quali quelle in cui s’intravvedono nuovi frutti?
“Ovunque ci sia guerra, ingiustizia, intolleranza la presenza e la testimonianza di uomini di fede, impegnati per il bene di tutti e non per l’interesse di qualcuno, dà fastidio. Penso in particolare a padre Fausto Tentorio, del Pime, ucciso esattamente un anno fa nelle Filippine perché in modo semplice ma netto si era schierato al fianco delle popolazioni manobo, sfruttate e oppresse. Ma sono molti gli uomini e le donne che rischiano ogni giorno la loro vita accanto alla gente che hanno scelto di accompagnare in posti come la Nigeria o il Medio Oriente, in Colombia o in Afghanistan, ma anche nelle periferie violente e degradate della grandi metropoli mondiali, dove oggi si giocano sfide cruciali per la Chiesa e la missione. Che pure sta raccogliendo frutti molto positivi in contesti apparentemente difficili. Tutta l’Africa, ad esempio, è in fervente crescita, non solo in termini di numero di fedeli, ma anche di vocazioni. È lì che bisogna guardare per provare a immaginare il futuro della Chiesa”.
Il numero dei laici in missione sta aumentando: quali i versanti in cui sono maggiormente impegnati?
“Un tempo l’impegno dei laici in missione era visto con un po’ di diffidenza. Atteggiamento che persiste in un certo mondo missionario, dove la missione è concepita solo come sinonimo di ‘per sempre’. Ma i laici - giovani, coppie, famiglie… - hanno dimostrato che si può essere autenticamente missionari anche facendo un’esperienza sul terreno a tempo determinato, portando con sé non solo professionalità e competenze, ma anche un modo diverso e complementare di incontrare la gente. E riportando a casa un’ispirazione e un atteggiamento che li rende missionari anche qui, nei luoghi di lavoro piuttosto che nella società e nella comunità cristiana di appartenenza”.
Nella comunicazione dei missionari che ruolo hanno i media?
“Quando si pensa alla missione, si pensa in primo luogo, oltre che all’opera di evangelizzazione, all’impegno in campo educativo e sanitario. Che restano, è vero, i principali ambiti di intervento dei missionari. Ma un settore meno conosciuto, ma altrettanto cruciale, è quello dei media. Molti missionari ne hanno intuito le potenzialità e hanno dato vita a giornali, riviste e soprattutto radio, che raggiungono anche i villaggi più remoti e che spesso si rivelano strumenti efficacissimi non solo per l’informazione, ma anche per la formazione e l’evangelizzazione, la promozione umana e il dialogo interreligioso, per creare una cultura di pace e giustizia, di sviluppo e solidarietà”.