Il giornalismo «ha due nemici. Il primo è la falsa oggettività. È importante come si pone il giornalista quando narra il fatto di cronaca, se dichiara il suo pre-giudizio sulle cose. Il pre-giudizio è inevitabile; dunque dichiararlo è condizione di rispetto nei confronti delle persone e dei fatti». Il secondo nemico? «Scambiare la verosimiglianza con la verità ». Parola di Angelo Scola, cardinale arcivescovo di Milano. Che ha aperto il suo cuore ai giornalisti incontrandoli ieri, per la festa del loro patrono, san Francesco di Sales, in un luogo simbolo della città, l’Istituto dei Ciechi.
Cuore di comunicatore, quello di Scola. E d’altronde: fra evangelizzazione e lavoro giornalistico c’è distinzione ma non separazione, ha sottolineato il porporato davanti agli oltre 250 operatori dei media che gremivano la sala dove si è svolto il Dialogo sul giornalismo col direttore de Il Sole 24 Ore Roberto Napoletano. E se è vero che in Cristo ogni dimensione dell’umano (come gli affetti, il lavoro, la festa: i temi, per inciso, del prossimo Incontro mondiale delle famiglie, che si terrà a Milano) trovano luce, accoglienza, cura, non è meno vero che il buon giornalismo «parte dall’attualità» ma non si ferma lì: deve «saper dare spazio all’attualità permanente» che è realtà «costitutiva » del «quotidiano elementare d’ogni uomo e ogni donna». Nella scelta e nell’interpretazione della notizia si deve percepire che «c’è un oltre e un prima rispetto all’avvenimento».
Metterci la faccia. Esporsi. Cercare la verità. «Occorre che ogni soggetto – scandisce Scola – dica le sue ragioni nel dibattito pubblico soprattutto sulle questioni decisive come l’amore, le differenze sessuali, la famiglia, la vita, la morte, perché sono questioni che ci bruciano addosso tutti i giorni». L’orizzonte è quello di una società plurale dove la sfida è il «riconoscimento reciproco» nella reciproca narrazione, per costruire quel «compromesso nobile» che il fatto stesso di vivere insieme esige. Perciò: chi crede nella dignità e inviolabilità della vita, nel matrimonio come unione fra un uomo e una donna aperta alla vita, mai rinunci a portare queste convinzioni nel dibattito pubblico. Altrimenti, tira le somme Scola, la società civile sarà più povera.
Napoletano aveva aperto il «dialogo» parlando della crisi, non solo economica, che attanaglia il nostro Paese, e incalzando Scola sulle priorità e le emergenze (dal futuro dei giovani ai 50enni espulsi dal mercato del lavoro). L’arcivescovo, dal canto suo, ha voluto chiarire il ruolo della Chiesa in questo tempo di travaglio: testimoniare quella «speranza affidabile» che è «speranza personale e sociale», sorgente di fiducia anche per l’economia o la politica; testimoniare la «convenienza» della visione cristiana per l’uomo del nostro tempo. Chi governa, ha sottolineato Scola, abbia la forza di cambiamenti coraggiosi per i giovani. Sulla scuola: le istituzioni sappiano governare, senza la pretesa di gestire ogni cosa, aprendo spazi reali alla libertà di educare. Sul rapporto tra i media e il ruolo del vescovo, ha attinto all’ultimo, recentissimo libro del cardinale Carlo Maria Martini. E ha chiesto ai giornalisti, col sorriso sulle labbra, di non essere sempre e sistematicamente identificato con Cl, movimento nel quale ha militato ed è cresciuto, e di non essere trattato come se si portasse addosso «non uno, ma due peccati originali».